FRODI ALIMENTARI: SEQUESTRATI FALSI PRODOTTI BIOLOGICI

La Guardia di Finanza di Verona ha sequestrato fabbricati e terreni per un valore di oltre 2,7 milioni di euro all'amministratore di una società per azioni di Casaleone (Verona).

COLTIVARE LE TERRE ABBANDONATE

La proposta di Marco Tacconi è semplice, ci sono tantissimi terreni agricoli incolti e abbandonati, perchè non sollecitare i proprietari che sono interessati a metterli a disposizione?

AIUTIAMO I BAMBINI A MASTICARE LENTAMENTE

Questa maledetta fretta e l’abitudine del “mordi e fuggi”, trasferita ormai anche all’alimentazione, ci portano a ingoiare il cibo invece di masticarlo. Complici anche i tanti prodotti alimentari di cui la pubblicità decanta la sofficità che, una volta messi in bocca, scivolano difilato giù nello stomaco.

GLI ORTI SPUNTANO PURE NELLE AZIENDE

Gli orti urbani hanno ormai superato la fase di semplice moda se, secondo i dati della Coldiretti, circa 21 milioni di italiani che stabilmente o occasionalmente coltivano l’orto o curano il giardino.

TORINO E' LA CITTA' DEI VEGANI

Torino è una città veg. Parlare di numeri non è semplice, ma i vegani a Torino sono tanti, tantissimi. «Forse più che qualsiasi altra città, basta vedere quanti punti vendita di cibo vegano ci sono, e non solo cibo».

sabato 15 dicembre 2012

IL PROGETTO EUROPEO PER PRODOTTI FARMACEUTICI SOSTENIBILI


Chem21, il progetto europeo per prodotti farmaceutici sostenibili

Tra gli obiettivi la riduzione del consumo di risorse
Ha recentemente preso il via il più grande partenariato pubblico-privato europeo con lo scopo di sviluppare e produrre farmaci sostenibili: il progetto si chiama Chem21, è coordinato dall'università britannica di Manchester e  dalla GlaxoSmithKline, uno dei giganti farmaceutici mondiali, ed  è stato finanziato con più di 26 milioni di euro, una parte dei quali stanziati dall'Unione europea. 
Al consorzio Chem21, sostenuto dall'Innovative medicines initiative e dall'European federation of pharmaceutical industries and associations partecipano 13 università e 4 piccole e medie imprese di Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna ed Olanda che vogliono sviluppare «Alternative biologiche e chimiche sostenibili ai materiali limitati, quali metalli preziosi, che sono attualmente utilizzati come catalizzatori nella produzione di medicinali.  L'introduzione delle biotecnologie nei processi di fabbricazione per i medicinali limiterà il consumo delle risorse mondiali ed avrà un beneficio duraturo sull'ambiente».  
Secondo Nicholas Turner dell'università di Manchester, «È un'opportunità unica per i gruppi accademici di lavorare accanto alle aziende farmaceutiche ed alle Pmi specializzate per sviluppare processi catalitici innovativi per la sintesi di farmaci. Crediamo che i problemi di questa natura si risolvano meglio su base pan-europea riunendo sotto lo stesso tetto le competenze di molti gruppi per stabilire un centro di ricerca di prima categoria sulla catalisi e sulla sintesi chimica sostenibili». 
Per Chem21 è prevista una fase iniziale di 4 anni con un finanziamento dell'iniziativa per i farmaci innovativi. Il progetto punta ad avviare un centro europeo di ricerca che fornirà le più recenti informazioni sulla chimica verde e svilupperà anche i pacchetti formativi per garantire che i principi della produzione sostenibile siano inseriti nella formazione dei futuri scienziati.  
John Baldoni,di GlaxoSmithKline, conclude: «Migliorare la sostenibilità dei nostri processi di produzione di farmaci attraverso collaborazioni come Chem21 non solo ridurrà l'impronta del carbonio del nostro settore, ma permetterà anche di accumulare risparmi che potranno essere reinvestiti nello sviluppo di nuove medicine, aumentare l'accesso ai medicinali tramite una riduzione dei costi e guidare innovazioni che semplificheranno e trasformeranno il nostro paradigma di produzione». 

domenica 9 dicembre 2012

RIFLETTIAMO INSIEME: PRESTO NON CI SARA' PIU' DA MANGIARE PER TUTTI

Lester Brown: presto non ci sarà più da 

mangiare per tutti

Lester BrownIl mondo è in una fase di transizione, da un’epoca dominata dal surplus, ad una dominata dalla scarsità. Sono in atto varie tendenze, che interessano sia la domanda che l’offerta e che portano ad un impoverimento delle scorte alimentari mondiali e ad un aumento dei prezzi. Questa situazione non è temporanea, si tratta piuttosto di una transizione di lungo periodo dall’abbondanza alla scarsità. Sotto il punto di vista della domanda c’è l’aumento della popolazione; non è una novità, negli ultimi decenni siamo cresciuti al ritmo di ottanta milioni l’anno. In pratica significa che stasera ci saranno 219.000 persone sedute a cena che ieri sera non c’erano, e che domani ce ne saranno altre 219.000 in più. La crescita della popolazione è continua e non accenna a diminuire. Il secondo elemento che crea l’aumento della richiesta di cibo è l’aumento della ricchezza. Aumentando il reddito, la gente, indipendentemente da dove si trovi, sale nella catena alimentare, e consuma più carne e pollame.
Alle persone piace consumare proteine animali e quando il loro reddito aumenta a sufficienza, cominciano a consumarne di più. Per fare un esempio, in India, paese con un consumo relativamente basso di proteine animali, il consumo annuale di cereali è di circa 181 chili all’anno, meno di mezzo chilo al giorno; all’opposto, negli Stati Uniti, che si trovano all’altra estremità dello spettro economico, si consumano 270 chili di cereali a persona all’anno; di questi, forse solo 90 chili vengono consumati direttamente, sotto forma di pane, dolci e cereali per la colazione; il grosso viene consumato sotto forma di carne, latte e uova. Queste sono le due fonti principali di aumento della domanda di cereali a livello mondiale: la crescita della popolazione e l’aumento del benessere; e adesso c’è anche un altro elemento, rappresentato dall’utilizzo dei cereali per la produzione di combustibile per auto. Negli Stati Uniti, vengono prodotti circa 400 milioni di tonnellate di cereali all’anno: di queste, l’anno scorso 129 milioni per le distillerie di etanolo per la produzione di combustibile per automobili. Così si è creata una competizione a livello planetario, per l’approvigionamento di cereali, tra i ricchi, proprietari di automobili, e i consumatori a basso reddito.
Dal lato dell’offerta ci avviamo verso una fase di nuovi restrizioni sulla produzione: una di queste è la scarsità di acqua. La produzione agricola mondiale ha avuto una grandissima espansione nel corso degli ultimi 60 anni – è più che triplicata – ma ora abbiamo difficoltà a sostenere questa crescita così rapida, anche a causa della scarsità di acqua. La metà di noi abita in paesi che stanno sovrapompando acqua di falda, cioè dal sottosuolo, per aumentare l’irrigazione. La Banca Mondiale, ad esempio, stima che in India 175 millioni di persone si nutrono di cereali prodotti con un pompaggio eccessivo; la mia stima per la Cina è che 120 millioni di cinesi vivano di cereali prodotti tramite sovrapompaggio. La situazione è molto simile negli Stati Uniti, dove stiamo sovrapompando in tutti gli Stati del Sud Est, inclusi i principali Stati agricoli, come il Texas e la California. L’acqua, dunque, sta emergendo come un elemento che limita l’espansione della siccitàproduzione di cibo; il mondo è pieno di terreno che potrebbe essere usato per la produzione di cibo se ci fosse anche l’acqua, ma purtroppo essa manca.
La seconda sfida che gli agricoltori devono affrontare è il cambiamento climatico. La generazione di coloro che attualmente praticano l’agricoltura è la prima a dover affrontare un cambiamento climatico sostanziale. Gli agricoltori hanno sempre affrontato i capricci metereologici: siccità, ondate di calore, alluvioni, ma quello che devono affrontare oggi è un aumento costante della temperatura, e la regola in agricoltura è che ad ogni grado Celsius di aumento di temperatura, corrisponde una diminuzione del 10% del raccolto. Gli agricoltori sono di fronte al cambiamento climatico, alla scarsità d’acqua, ma non dimentichiamo che l’agricoltura si è sviluppata lungo un periodo di 11.000 anni di notevole stabilità climatica; questo tipo di agricoltura si è perfezionato nel massimizzare la produzione in un dato sistema climatico che non esiste più. Il sistema climatico sta cambiando, e ogni anno che passa esso è sempre più fuori sincronia con quello della produzione agricola. Gli agricoltori oggi sono incerti sul futuro come mai prima. Non sono più in grado di pianificare perché non sanno esattamente come e quando il clima cambierà: sanno soltanto che cambierà.
Quindi abbiamo scarsezza di acqua, mutamenti climatici, e l’erosione del suolo che sta diventando un problema enorme in alcuni Paesi. In tutto il pianeta, stiamo perdendo suolo molto più velocemente di quanto esso non si riformi in condizioni di normalità. C’è un enorme bacino di polvere che si sta formando nel nord della Cina, ad esempio, a causa delle pratiche dell’aratura profonda e in particolare del pascolo non regolamentato; entrambe hanno distrutto la vegetazione, e ora non c’è più niente che trattenga gli strati superficiali del terreno. Quando inizia a soffiare il vento, verso fine inverno – inizio primavera, quando la neve si scioglie, il suolo semplicemente vola via. Un altro enorme bacino di polvere si sta formando in Africa centrale, sempre dovuto allo sfruttamento eccessivo per il pascolo e l’aratura; questi bacini di polvere renderanno impossibile la coltivazione agricola in aree in cui il suolo superficiale è spazzato via dal vento. Così abbiamo scarsità d’acqua, cambiamento climatico ed erosione del suolo, Fame in Etiopiatutte cose che rendono difficile aumentare la produzione ad una velocità tale da soddisfare la domanda.
La questione, dunque, è la seguente: cosa fare per affrontare queste minacce alla sicurezza alimentare futura? Una delle cose più ovvie è mettere un freno alla crescita della popolazione. Bisogna accelerare il passaggio a famiglie meno numerose. Non si può continuare a crescere di 80 milioni all’anno, o il problema si farà davvero serio. A dir la verità, stiamo già iniziando ad avere problemi sul fronte dell’alimentazione. Negli ultimi anni, stiamo assistendo agli effetti del raddoppio del prezzo del grano, che si manifestano sui segmenti più poveri dei paesi a basso reddito. In paesi come la Nigeria, l’Etiopia o l’India, ad esempio, per una buona parte delle famiglie è normale prevedere giornate di digiuno. Non possono permettersi di mangiare ogni giorno e quindi la sera della domenica, ad esempio, decidono che, nella settimana entrante, digiuneranno al mercoledì e al sabato. Tutto ciò rappresenta un aggravamento del problema della fame nel mondo; finora ci eravamo preoccupati dell’allargamento del problema della fame nel mondo, ma questo ne costituisce un aggravamento. Ci sono milioni e milioni di famiglie in Nigeria, Etiopia, India o Perù che non possono permettersi di mangiare tutti i giorni, e così pianificano delle giornate senza cibo. E’ ovvio che non si tratta di una situazione molto sana. Io penso che la maggior parte della gente non ne sia consapevole, ma essa costituisce un serio pericolo per la futura stabilitàpolitica, perché le persone arrivano al punto di non poterne più.
Dobbiamo fermare la crescita della popolazione. E dobbiamo stabilizzare il clima. Bisogna procedere velocemente ad un taglio delle emissioni di carbonio. I leader politici parlano di un taglio delle emissioni dell’80% per il 2050, ma allora sarà troppo tardi. All’Earth Policy Institute pensiamo che le emissioni vadano tagliate dell’80% per il 2020. E’ come se ci stessimo preparando per una guerra. Bisogna ristrutturare l’economia energetica mondiale, abbandonando i combustibili fossili a favore di fonti di energia rinnovabili, abbiamo bisogno di una ristrutturazione totale dell’economia energetica. Assomiglia alla ristrutturazione dell’economia industriale degli Stati Uniti nel 1942, quando siamo entrati nella Seconda Guerra Mondiale. Avevamo ben pochi armamenti all’inizio della guerra, perchè non avevamo pensato, né pianificato, di entrare in guerra. Quel che il presidente Roosevelt fece, fu di bandire la vendita di nuove automobili negli Stati Uniti, costringendo le compagnie automobilistiche a produrre carri armati ed aerei. All’inizio del 1942 egli disse: «Produrremo 45.000 carri armati e 60.000 aerei». La gente non capiva come ci saremmo riusciti, ma la chiave fu la messa al bando della produzione di automobili, cosicché la nostra capacità industriale poté focalizzarsi sulla costruzione di carri e aerei, e alla Mangiamo troppa carne: alimentare il bestiame impoverisce la Terrafine riuscimmo addirittura a superare gli obbiettivi: infatti, invece di produrre 60.000 aereoplani, ne producemmo 129.000.
Persino oggi, trovo difficile immaginare di produrre 129.000 aerei, ma l’abbiamo fatto, e non ci vollero decenni per ristrutturare l’economiaindustriale del paese, non ci vollero anni; è stato fatto nello spazio di alcuni mesi. Ora dobbiamo ristrutturare l’economia energetica mondiale, non nei prossimi decenni, ma nei prossimi anni; dobbiamo fare in fretta, o il cambiamento climatico entrerà in una spirale incontrollabile che ci impedirà di garantire in futuro la sicurezza alimentare. Uno dei possibili modi per diminuire la crescita della domanda è che nei paesi ricchi, come gli Stati Uniti, e in misura minore l’Italia, ci si sposti verso la parte bassa della catena alimentare, consumando meno alimenti che richiedono una produzione cerealicola intensiva, come carni rosse, maiale, pollame, uova e formaggio, e più verdure e cereali integrali. Se lo facessimo, godremmo di una salute migliore, di sicuro negli Stati Uniti, e il pianeta ne guadagnerebbe in salute. L’impatto della domanda di risorse di suolo e acqua sulla Terra si alleggerirebbe. Questo dovrebbe essere il primo dei nostri pensieri. Abbiamo scoperto che la Terra non è infinita, ma finita, e la quantità di suolo e di acqua disponibili sono limitate.
Uno sviluppo recente è la “nuova geopolitica alimentare”. L’abbiamo vista emergere negli ultimi anni. Quando il prezzo dei cereali è raddoppiato, fra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, i paesi esportatori come l’Argentina e la Russia per il grano, hanno posto restrizioni o addirittura proibito le esportazioni, in modo da tenerne basso il prezzo per il mercato interno, peggiorando drammaticamente la situazione nel resto del mondo. Il Vietnam, il principale esportare di riso nel mondo, ha bloccato le esportazioni di riso per diversi mesi, nel tentativo di tenere bassi i prezzi del cibo nel paese. In quel momento i paesi importatori hanno capito di non poter più contare sul mercato. Si sono resi conto di non avere libero accesso alle riserve dei paesi esportatori e sono caduti nel panico, come era prevedibile. Hanno iniziato a cercare in altri paesi del terreno da comprare o affittare, su cui coltivare cibo per sé stessi, da spedire al proprio mercato Coltivazione del riso in Vitenaminterno. Così ha avuto inizio l’attuale corsa alla terra, o, se preferite, il movimento di appropriazione di terra.
Secondo una tabella della Banca Mondiale dell’anno scorso, ci sono state 396 acquisizioni di terra, alcune relativamente piccole, per migliaia di ettari, altre di centinaia di migliaia di ettari. L’area totale di queste appropriazioni era pari alla somma delle aree coltivate a grano e a granoturco negli Stati Uniti. Un bel pezzo di territorio. E’ in atto una gara, oggi, tra paesi, per vedere chi riuscirà a controllare le risorse di terreno e di acqua. Abbiamo visto, ad esempio, i prezzi della terra salire ad un ritmo doppio rispetto all’indice Dow Jones per l’industria. C’è una corsa alla terra, la terra è il nuovo petrolio. Il cibo è il nuovo oro, e la geopolitica collegata alla diminuzione della risorse di terra ed acqua, e dunque di cibo, si avvia ad avere un’influenza decisiva sullo scacchiere dell’economia alimentare mondiale, e su chi controllerà la produzione nelle diverse parti del pianeta.
Osservando le tendenze in atto nel mondo, che si tratti di popolazione, clima, erosione del suolo, scarsezza di acqua, appare chiaro che non possiamo continuare così. E’ necessario un cambiamento. C’è bisogno di ristrutturare l’economia globale. Dobbiamo passare dai combustibili fossili a fonti di energia rinnovabili. In effetti stiamo parlando del futuro stesso della civiltà: la nostra civiltà non può sopravvivere alla distruzione e alla rovina delle risorse naturali della Terra, che si tratti di foreste o praterie, del patrimonio ittico o dei terreni coltivabili, del clima o altro ancora. Non sarà facile ristrutturare l’economia mondiale per convertirla in un’economia sostenibile, ma dobbiamo farlo, e avremo bisogno di un’enorme sforzo politico. Non sto parlando di una rivoluzione politica: sto parlando di Centrali a carbonemettere sotto pressione i nostri leader con il nostro attivismo, con le nostre voci, per mostrar loro non soltanto che essi devono cambiare, ma anche che noi sosteniamo questo cambiamento.
Il mondo deve affrontare un’enorme sfida educativa, per aiutare la gente a capire il perché dei grandi cambiamenti. Bisogna muoversi in fretta, dobbiamo servirci dei mezzi di comunicazione per aumentare il livello di consapevolezza e comprensione e per alimentare l’azione politicanecessaria a sostenere il cambiamento. Trovate degli amici con cui condividere la vostra battaglia e cominciate a mobilitarvi. Incontrate i vostri rappresentanti politici. E’ partendo da lì, che si può cominciare a realizzare questi cambiamenti. Il mondo non cambierà se noi non lo costringiamo a cambiare. Dobbiamo riuscire a cambiare adesso, non è qualcosa che possiamo lasciar fare alla prossima generazione. E’ la nostra generazione che deve farlo, per la salvezza delle generazioni future.
(Lester Brown, estratti del video-intervento editato dal blog di Beppe Grillo nel dicembre 2012. Scienziato, ecologista e profeta della riconversione planetaria dell’economia, Brown dirige a Washington l’Earth Policy Institute, struttura di ricerca da anni impegnata per lo sviluppo di un’economia mondiale sostenibile).

venerdì 30 novembre 2012

FARE LA BONIFICA DEI TERRENI INQUINATI CON I FIORI

La bonifica dei terreni inquinati? La fanno i fiori
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Una ricerca dell'università di Warwick
Prodotte anche nanoparticelle di platino e arsenico, utili per trattamenti contro il cancro
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Un consorzio di ricerca britannico guidato dal Warwick Manufacturing group (Wmg) dell'università di Warwick ha avviato un programma da 3 milioni di sterline chiamato "Cleaning land for wealth" (Cl4W), "Pulire la terra per il benessere" che utilizzerà delle specie di fiori comuni per bonificare i terreni inquinati e per produrre nanoparticelle di platino ed arsenico da utilizzare nei convertitori catalitici, nei trattamenti per il cancro e in una serie di altre applicazioni.

Questo "Sandpit exercise" voluto dall'Engineering and physical sciences research council (Epsrc) mette insieme ricercatori del Wmg e dell'università di Newcastle, Birmingham, Cranfield ed Edimburgo che condividono tecnologie e competenze per elaborare un innovativo progetto di ricerca multidisciplinare che potrebbe contribuire a risolvere le sfide tecnologiche e ambientali delle bonifiche dei siti contaminati.

La "Phytoremediation" (fito-bonifica) è un procedimento che utilizza le piante di assorbire i veleni e metalli pesanti dal terreno e per imprigionarli nella parte aerea della pianta. Per questo già da tempo alcune specie vegetali vengono impiegate spesso nelle strategie di bonifica, tra queste ci sono anche gli alyssum, specie di origine europea composta da piante erbacee annuali e perenni o piccoli arbusti che hanno foglie ovali e fiori bianchi e gialli

Il consorzio metterà in atto le diverse ricerche che puntano ad utilizzare le piante e batteri per assorbire particolari elementi e sostanze chimiche e metterà in atto le tecniche necessarie a raccogliere ed utilizzare i materiali. Per dimostrare la fattibilità della bonifica naturale dei siti è già stato messo a punto un metodo che sembra molto promettente e che utilizza specie comuni di fiori e piante come l'alyssum per rimuovere sostanze chimiche tossiche come l'arsenico e il platino dai terreni e corsi d'acqua inquinati, permettendo potenzialmente di recuperare e riutilizzare il terreno bonificato.

Già da solo questo sarebbe un risultato importante, ma mentre la sperimentazione andava avanti i ricercatori hanno scoperto di aver trovato qualcosa che permetterebbe di ottenere molto di più di una semplice bonifica dei suoli. Il responsabile del progetto, Kerry Kirwan, del Wgm, spiega che «I processi che sono in via di sviluppo non solo rimuovono veleni come l'arsenico e il platino dai terreni e corsi d'acqua contaminati, siamo anche sicuri di poter sviluppare processi biologici e bioraffinazione (o biofactories) che possano determinare le forme e le dimensioni delle nanoparticelle dei metalli che producono. Questo darebbe ai produttori di convertitori catalitici, sviluppatori di trattamenti contro il cancro e di altre tecnologie, i materiali necessari esattamente delle giuste forme, dimensioni e funzionalità di cui hanno bisogno, senza un successivo affinamento. Durante lo tesso processo di bioraffinazione ci attendiamo anche di recuperare dalle coltivazioni altri materiali ad alto valore aggiunto, utilizzabili come prodotti della chimica fine, prodotti farmaceutici, anti-ossidanti, eccetera».

giovedì 29 novembre 2012

SIAMO IN UN REGIME DI DECRESCITA...INFELICE

Sarà Natale solo per i ricchi:
e Monti voleva salvare l'Italia ?

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La situazione «sta diventando oramai insostenibile», e purtroppo «si cominciano già a registrare i primi focolai di violenza, perché in molte realtà le persone sono disperate, non ce la fanno più, non ci sono più punti di riferimento».
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riflessione di Fabio Salviato, fondatore di Banca Etica
fonte: Libre

Dopo un anno di cura Monti, il malato Italia sta molto peggio. E il Professore rimedia un bel 4 in pagella. A giudicarlo è Fabio Salviato, fondatore di Banca Etica. Siamo in regime di «decrescita infelice», dice Salviato, «mentre la “decrescita felice” avrebbe potuto generare circuiti virtuosi», capaci di garantire «milioni di nuovi posti di lavoro». Come spiega Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita (cioè: taglio degli sprechi e aumento del lavoro utile), sono enormi i margini economici assicurati da settori strategici come l’energia pulita, la riconversione ecologica del patrimonio edilizio e la gestione dei rifiuti basata sull’industria del recupero e del riciclo della materie prime. A un anno dall’insediamento del super-tecnocrate della Bocconi, riflette Salviato, i media restano morbidi: riconoscono a Monti di aver risollevato l’immagine internazionale dell’Italia. Ma a che prezzo? Come dire: l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto.
Risale esattamente a un anno fa, ricorda Salviato sulle pagine di “Roma Sette” – newsmagazine cattolico della diocesi romana – l’appello inviato a Monti all’indomani dell’incarico ricevuto da Napolitano. Titolo: “Le ossa e la polpa”. «Auspicavo un governo e un’azione che lui stesso aveva definito come fatto di “rigore ed equità”», ricorda Salviato. «E, nell’augurare buon lavoro, avevo indicato una serie di settori dove il governo avrebbe potuto incidere proprio sulla “polpa”, nel tentativo di fare cassa e quindi cercare di far quadrare i conti». Nel mirino, l’evasione fiscale (125 miliardi di euro) e la tassazione dei capitali all’estero: «Mi riferivo in particolare all’accordo che Germania, Austria, Inghilterra hanno già fatto con i loro cittadini che detengono capitali mobiliari in Svizzera, proponendo una imposta del 20% per chi dichiarasse i propri capitali all’estero». Per l’Italia si trattava di incassare entrate per almeno 40 miliardi di euro, «dieci in più della prima manovra denominata Salva-Italia», e che – anziché “salvare l’Italia”, l’ha tramortita, tagliando le pensioni e aumentando le tasse.
Ricevuta dalla Svizzera la lista dei super-evasori, invece di «applicare l’imposta del 20% sui 500 miliardi di capitali detenuti da risparmiatori italiani in Svizzera», il ministro-banchiere Corrado Passera «ha provveduto a costituire una commissione sul tema», ovviamente arenatasi tra i corridoi del Palazzo. «Nel frattempo – continua Salviato – in Svizzera le cassette di sicurezza sono esaurite e quindi le banche hanno provveduto a prenotare tutte le cassette di sicurezza di alberghi e ristoranti, e ogni giorno la polizia di frontiera blocca la fuga continua di capitali all’estero». Per non parlare poi dei capitali tranquillamente al riparo nei paradisi fiscali: «Ma anche lì, se i G8 volessero, si potrebbe cominciare a stabilire qualche regola di trasparenza, se non altro per identificare i capitali frutto del lavoro di imprenditori e famiglie rispetto ai capitali che provengono da attività illecite, commercio di droga, mafie».
A noi invece è toccata l’infame “spending review”, che non sfiora le spese folli per i cacciabombardieri F-35 mentre non risparmia i malati di Sla, 100 milioni di euro «vergognosamente tagliati, alla faccia dell’equità». In compenso, Monti ha recuperato ha “fiducia” internazionale nei confronti dell’Italia. Ma la fiducia di chi: degli sciacalli finanziari che avevano messo alle corde il paese, fino a sottoporlo al ricatto europeo del Fiscal Compact, che prevede l’aberrante introduzione del “pareggio di bilancio”? E nel frattempo, il debito pubblico è aumentato. Inevitabile? «Assolutamente no», protesta Salviato: «Bastava valutare adeguatamente le buone pratiche proposte e realizzate dalla finanza etica: forse avremmo potuto invertirlo, quel trend, utilizzando strumenti innovativi e scambiando servizi e attività con parti di debito pubblico, non solo nel campo sanitario e sociale, ma in tutti i settori».
Gli italiani, aggiunge Salviato, avrebbero capito: «Hanno sempre saputo rispondere nei momenti di crisi». Invece, il debito pubblico ormai viaggia verso i 2.000 miliardi di euro. «Vorrei semplicemente ricordare che il totale del risparmio accumulato da famiglie e imprese in Italia è di 8.000 miliardi di euro, cioè quattro volte di più», aggiunge il fondatore di Banca Etica, preoccupato per la voragine della disoccupazione, in continuo aumento: sono ormai 3 milioni i disoccupati ufficiali, «ma in realtà i veri disoccupati sono almeno il doppio, con punte al Sud Italia di giovani disoccupati, soprattutto donne, che superano il 50%». La situazione «sta diventando oramai insostenibile», e purtroppo «si cominciano già a registrare i primi focolai di violenza, perché in molte realtà le persone sono Maurizio Pallantedisperate, non ce la fanno più, non ci sono più punti di riferimento».
Tutto questo, mentre ancora il governo straparla di “crescita” e “sviluppo”, ignorando deliberatamente l’unica economia che farebbe crescere il lavoro: quella – paradossalmente – della decrescita selettiva del Pil, che aumenta i fatturati e i posti di lavoro là dove si investe per tagliare gli sprechi. Esempio: la filiera produttiva (ed ecologica) dei rifiuti da riciclare e recuperare, archiviando discariche e inceneritori tossici. Oppure: il colossale capitolo del risparmio energetico, che darebbe lavoro a migliaia di aziende edilizie, pagate – attraverso nuove formule contrattuali – col semplice risparmio ottenuto coibentando meglio abitazioni, uffici e fabbriche. Manutenzione del territorio: è un’Italia dolorante, che frana e si allaga, ma il governo punta ancora sulle Grandi Opere Inutili come la devastante Torino-Lione, di cui persino la Corte dei Conti francese consiglia l’abbandono: progetto insensato, diseconomico, costosissimo e totalmente superfluo. Quanto ai costi politici della “casta”, aggiunge Salviato, siamo sui 24 miliardi di euro: «Una cifra scandalosa, che andava sicuramente rivista e rimodulata».
Eppure, in vista del Natale e delle vacanze c’è un’Italia che ancora affolla gli alberghi, dove si registra il tutto esaurito. «Questa è un’altra Italia, che non è stata toccata dalla crisi, dalla patrimoniale e dalle tasse, se non in maniera marginale». Da cattolico militante, Salviato protesta: «Io credo che tutto questo non sia giusto, e penso sia giunto il momento di cominciare ad esprimere la propria indignazione: perché in gioco ci sono le vite, le speranze e il futuro di milioni di persone». Lui, annuncia, a Natale resterà a casa: «Meglio un buon libro, qualche passeggiata sul fiume, la bicicletta. Starò con la mia famiglia, frequenterò più assiduamente la mia parrocchia, e nel limite del possibile, farò solidarietà con tante famiglie del mio quartiere che hanno bisogno di essere aiutate». E il professor Monti? «Gli chiedo di riflettere e di imparare ad ascoltare consigli innovativi: cerchiamo di non sacrificare valori come equità e solidarietà sull’altare dell’egoismo e della massimizzazione del profitto».

mercoledì 28 novembre 2012

RIFLETTIAMO INSIEME: LA FORTE RICHIESTA DI ALIMENTI CHE COSTANO POCO

Cosa costa meno e perchè
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La forte richiesta di alimenti che costano poco (e visti i tempi che corrono presumo che la cosa peggiorerà ancora) ha spinto i produttori a cercare nuovi sistemi per ridurre i costi. Generalmente si tratta di risparmiare sulle materie prime. Tenete presente che la qualità ha un costo, se un prodotto costa troppo poco non può essere di qualità. ========================================================================
di Marina Mariani
fonte : www.labiolca.it



PER CHIARIRVI MEGLIO LE IDEE...
FACCIAMO QUALCHE ESEMPIO

Le materie prime incidono per non più del 40% del costo complessivo, questa è la regola di tutti i produttori di alimenti. Quando acquistate un prodotto che costa molto poco non potete pretendere che sia di qualità. 

Ma cos’è questa QUALITA’? 
Il concetto di qualità ha molti aspetti: le materie prime, il luogo di produzione, le modalità di produzione, i controlli fatti prima della commercializzazione. Un alimento che costa poco è necessariamente privo di gran parte di questi aspetti.
Se al pubblico in un supermercato una mozzarella costa 40 centesimi dobbiamo dare per scontato che almeno 15 centesimi siano il ricarico di chi vende. Restano 25 centesimi. Il 40% di questa cifra ci dice quanto è stato speso per le materie prime. E vi stupite che le mozzarelle diventino blu?
 Se potessero diventerebbero rosse. Per la vergogna. A causa delle quote latte siamo costretti a importare latte di qualità molto bassa da paesi in cui le norme igieniche non sono come le nostre, e nei quali gli animali sono allevati in condizioni scandalose. Per renderlo sano o almeno decente dal punto di vista sanitario, viene trattato a caldo con la pastorizzazione, anche per più volte. Pensate che il valore alimentare di questo latte, che ovviamente costa pochissimo, sia lo stesso di quello di una bella vacca felice tenuta al pascolo? E’ sempre latte, certo, ma quanto a valore nutritivo ? Ecco cosa comprate a basso prezzo. Vi ricordo che l’allevamento biologico prevede il pascolo per gli animali. Sarà un caso?
TECNICHE DI VENDITA

Dicevamo il mese scorso che i supermercati non fanno beneficenza alla clientela, e mi pare ovvio. Ma allora come si spiega la spesso grande differenza tra i prezzi dei supermercati e quelli dei piccoli (e ormai pochi rimasti) negozietti sotto casa? I motivi sono molti, vediamo i principali: – grandi acquisti: la grande distribuzione acquista quantità notevoli di prodotti e riesce per questo a “spuntare” un prezzo migliore. – pagamenti ritardati: il piccolo dettagliante nella maggior parte dei casi si vede chiedere il pagamento della fattura al momento stesso della consegna. Come dire che i fornitori non si fidano. Il supermercato invece, se va bene paga i fornitori dopo sei mesi dalla consegna. Sì, avete capito bene, dopo sei mesi. A volte anche più tardi. Questo significa che non deve anticipare denaro, e il pagamento avverrà quando il prodotto sarà già stato venduto da un pezzo. In pratica guadagna anche gli interessi su denaro non suo. Questo fatto spiega perché nei supermercati si trovino solo prodotti industriali, e non artigianali: quale artigiano può aspettare sei mesi per avere il pagamento dei suoi prodotti? Voi lo fareste? – affitto degli scaffali:avrete certamente notato che i prodotti posizionati sugli scaffali centrali sono quelli più costosi, quelli “di marca”. Invece se guardate in basso e in alto trovate prodotti di marche meno conosciute ma che costano meno. Quindi se volete risparmiare guardate in basso o in alto… Il fatto è che i produttori di alimenti prendono letteralmente in affitto gli scaffali centrali, pagandone un tanto al metro (quadrato o lineare). Questo costituisce un guadagno ulteriore per il supermercato, che così può permettersi di ridurre i prezzi. – accordi per offerte speciali: si concordano con largo anticipo le offerte speciali che si faranno per i prodotti. Non è vero che vengono messi in offerta i prodotti prossimi alla scadenza, non ce n’è alcun bisogno…
PERSONALE A BASSO COSTO


In alcuni casi il personale dei supermercati è costretto a fare straordinari e a lavorare durante i giorni di festa (sono tanti quelli che restano aperti di domenica e nei festivi, avete notato? Voi lavorereste volentieri nei giorni festivi?), anche se è pagato molto poco, e quando dico molto poco dico alcuni euro all’ora. Non ci credete? Chiedete alla cassiera del vostro supermercato quanto guadagna. Coloro che corrono come forsennati alla ricerca delle offerte specialissime dovrebbero prendere coscienza che sono proprio loro la causa di questo sfruttamento. E’ una triste guerra tra poveri. – articoli civetta: non tutto è proprio conveniente, la strategia della grande distribuzione è di guadagnare sul totale delle vendita invece che sul singolo prodotto. 
Molti prodotti sono posizionati in punti strategici per stimolarvi all’acquisto. Sono lì a dirvi “comprami, comprami!” Vi siete mai chiesti perché ci sono le caramelle e i cioccolatini proprio vicino alle casse? Perché voi state lì e vi viene la voglia…Osservate il vostro carrello prima di mettervi in fila alle casse: quanti prodotti, tra quelli che avete messo nel carrello, vi servono davvero? Quanti sono destinati ad essere congelati e a farvi consumare energia elettrica per la loro conservazione? Ricordate che anche mantenere nel congelatore gli alimenti è un costo: vi costa circa due euro al chilo al mese. Comprate oggi, pagate oggi e mangerete tra qualche settimana. Forse non c’è poi tutta questa convenienza a fare grandi scorte, non credete?
Due suggerimenti per risparmiare davvero:Fate la lista della spesa e comprate solo quello che avete scritto. Guardate meno pubblicità possibile

giovedì 22 novembre 2012

COSA SONO E DOVE SI TROVANO GLI "ALBERGHI DIFFUSI"

Albergo diffuso: cosa sono gli alberghi diffusi e dove sono in Italia?

di MARTA

Vivere la vita di un borgo e sentirsi come un suo abitante: è questa la filosofia alla base del modello turistico dell’Albergo Diffuso. Un modello di sviluppo del territorio che inserisce le strutture ricettive all’interno di un centro abitato. Un’ospitalità nuova, diventata relativamente nota in Italia negli ultimi anni, e che ha salvato da morte certa decine di piccoli paesini ormai disabitati.
L’Albergo Diffuso funziona in buona sostanza così: gli alloggi sono sparsi in diverse strutture dislocate su tutto il centro cittadino. I servizi offerti sono gli stessi degli alberghi, ma l’aria che si respira è diversa. È pulita, sa di natura, di vita a contatto diretto con chi in quel borgo ci vive da sempre. Gli edifici dell’albergo sono generalmente stabili antichi e di pregio ristrutturati e ammobiliati con tutti i comfort. L’impatto sull’ambiente è bassissimo, perché non si costruisce nulla di nuovo. Si restaura ciò che già esiste senza usare il cemento, poco eco-friendly.
Affinché si possa realizzare un turismo innovativo come questo occorre rintracciare un paese, parzialmente abbandonato e dal forte interesse storico-ambientale; individuare gli edifici capaci di accogliere diversi ospiti; e procedere a ristrutturarli nel pieno rispetto della natura e della loro identità storica. Ma c’è di più, l’impatto sulle relazioni umane. Una realtà fatta di poche persone dà la possibilità di intrecciare legami solitamente più genuini che non in una zona a turismo di massa. Ecco perché chi vive una vacanza del genere torna a casa più rilassato e con un bagaglio di esperienze maggiore. Perché ha avuto modo di parlare, capire e guardare un mondo da un’angolazione nuova.
Sul sito dell’AdiAssociazione nazionale Alberghi Diffusi (http://www.alberghidiffusi.it), c’è un elenco delle 40 strutture presenti in Italia classificate per regione. In Emilia Romagna, sull’Appennino tosco-emiliano, esiste un piccolo borgo arroccato sulle montagne. Si chiama Portico di Romagna, qui è stato creato l’Albergo Diffuso “Al Vecchio Convento”.
In provincia di Rieti, nella patria degli spaghetti all’amatriciana, abbiamo l’Albergo Diffuso Villa Retrosi. Un gruppo di amici ha recuperato e ristrutturato le proprie abitazioni destinandole all’attività turistica. Assicurano che ogni intervento è stato fatto nel pieno rispetto dell’architettura paesaggistica. E in coerenza con la promozione di uno turismo ecosostenibile, dal 2007, a Villa Retrosi viene prodotta energia elettrica grazie a piccoli e potenti pannelli fotovoltaici.
Per non parlare della bellissima storia di Santo Stefano di Sessanio (nella foto sotto), un borgo di poche anime sul Gran Sasso che stava morendo prima di essere recuperato da Daniele Kihlgren, una storia emblematica che ci racconta Il Fatto Quotidiano e che rappresenta un interessante esempio di questa tipologia di struttura alberghiera. Ora il suo albergo diffuso Sextantio (http://www.sextantio.it) è un mirabile esempio di un borgo fortificato medievale recuperato alla vita.
Questi sono solo alcuni esempi, ma tante strutture si trovano nella guida curata dal Touring Club, in distribuzione dal prossimo aprile.
Perché gli alberghi diffusi in Italia sono ben più di quaranta e hanno tutti una storia da raccontare. Come per esempio lo Chalet del Capriolo a Cervara di Roma, un paesino sui Monti Simbruini che un turismo sostenibile di qualità sta contribuendo a recuperare.
Insomma, un mondo da scoprire e da esplorare, nonché un modo di conoscere angoli del nostro Paese semidimenticati ed indubbiamente genuini.
Chi sceglie per le proprie vacanze un Albergo Diffuso sceglie anche gli abitanti del borgo che lo ospiterà. Perché fanno parte di quel patrimonio fatto di sapere e cultura che soltanto un turismo meno invasivo è capace di generare. Sono sempre di più i giovani che fiutano l’opportunità di lavoro e scappano da città super affollate e caotiche. Eppure ancora oggi non tutte le Regioni italiane hanno incentivato un’iniziativa del genere. Che cosa si aspetta?

mercoledì 21 novembre 2012

UNA "BANCA DELLA TERRA" PER GIOVANI AGRICOLTORI


Alluvioni e prevenzione, la Toscana istituirà una "banca della terra" per giovani agricoltori

Settis: «Niente può tutelare meglio il nostro paesaggio di un'agricoltura di qualità»
Blocco del consumo di suolo agricolo, territorio da destinare all'agricoltura per creare nuova occupazione in particolare giovanile, e presidio sostenibile del territorio rurale come strumento di prevenzione contro il dissesto idrogeologico. Sono questi i temi principali trattati al convegno "Uso versus Consumo del territorio rurale", oggi a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, a cui partecipano tra gli altri il ministro dell'agricoltura, Mario Catania, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, l'assessore regionale all'urbanistica e pianificazione del territorio, Anna Marson, Carlo Petrini presidente di Slow food international e Salvatore Settis, accademico dei lincei.
Durante l'iniziativa la Regione ha annunciato che metterà a disposizione dei giovani agricoltori superfici agricole del suo demanio attraverso una vera e propria "banca della terra". Secondo uno studio presentato nel corso dei lavori, sono quasi 360.000 gli ettari di superficie agricola utile (Sau) abbandonati dal 1982 al 2010 in Toscana. «Eppure i giovani che intendono impiantare nuove aziende agricole non trovano terre dove sia possibile farlo - ha precisato l'assessore regionale all'agricoltura Gianni Salvadori - E' per questo che la Regione metterà a loro disposizione quelle di sua proprietà e ci faremo ricettori di tutte le istanze di coloro che intendono investire in questo settore». La proposta è attualmente all'esame del Consiglio regionale.
«Dobbiamo chiederci come possiamo fare in modo che le imprese agricole ricavino reddito sufficiente per proseguire nella loro attività. La Toscana sta già facendo il possibile per affrontare questo problema, come testimonia la possibilità che abbiamo regolamentato di installare impianti fotovoltaici sui terreni agricoli. Si tratta di un lavoro che abbiamo portato avanti coinvolgendo le competenze degli assessorati all'agricoltura, all'urbanistica e all'ambiente che hanno operato nell'interesse degli imprenditori agricoli, ma anche di tutti i cittadini e del nostro paesaggio».
«Niente può tutelare meglio il nostro paesaggio - ha dunque precisato Salvatore Settis nel corso del suo intervento - di un'agricoltura di qualità e di fronte ad un numero di appartamenti costruiti negli ultimi anni che è 387 volte superiore al numero di nuovi abitanti, servirebbe una legge composta da un solo articolo, capace di incentivare i consumi a chilometri zero e anche il lavoro in agricoltura. L'hanno fatta in Brasile e prevede che ogni mensa utilizzi per almeno il 30% i prodotti agricoli di aziende locali». L'investimento in agricoltura rappresenta anche per la Cia Toscana uno strumento di prevenzione contro le catastrofi naturali. «Per evitare alluvioni, frane e smottamenti che hanno colpito anche la Toscana nei giorni scorsi bisogna sempre ricordarsi che la miglior prevenzione è investire in agricoltura - ha dichiarato il presidente Giordano Pascucci -  Ed il consumo del suolo, in particolare del territorio rurale, va nella stessa direzione: non dimentichiamoci che negli ultimi 50 anni oltre 5 milioni di ettari agricoli sono scomparsi, e di questi oltre un terzo a causa della cementificazione. Mentre in Toscana negli ultimi dieci anni, secondo i dati del censimento Istat, abbiamo perso 100mila ettari che non sono stati cementificati, bensì a causa dell'abbandono dell'attività agricola, in particolare nelle aree rurali ‘svantaggiate' e montane, dove l'agricoltura risulta meno competitiva. E' quindi necessario investire in modo concreto in agricoltura- ha concluso Pascucci- anche per rafforzare la competitività di tutte le imprese. L'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Ddl per il contenimento del consumo di suolo, avvenuta venerdì scorso, è quindi una buona notizia». 
Il presidente Rossi è intervenuto al convegno, facendo un bilancio di metà legislatura sulle politiche del territorio. «Fin dal nostro programma di legislatura abbiamo puntato quanto più possibile sulla salvaguardia del territorio agricolo e la tutela del paesaggio. Questa idea, combinata con il rilancio del manifatturiero, ci è sembrata l'unica in grado di far ripartire uno sviluppo di qualità nella nostra regione- ha detto Rossi - Abbiamo ripreso una discussione positiva e utile con i comuni per quanto riguarda i piani strutturali, abbiamo compiuto un altro passaggio straordinario con la "vestizione" dei vincoli. Con la revisione della Legge 1 punteremo, non in modo generico, sul riuso.
A tutto questo aggiungo altre due svolte non meno radicali: il divieto a costruire nelle zone ad alto rischio idraulico, che costituiscono il 7% del territorio pianeggiante della Toscana, e la riforma dei Consorzi di bonifica, che vogliamo finalizzare alle attività di manutenzione. Tutto ciò mi sembra infine possa costituire una buona base per un accordo con il governo, nello spirito di quella visione complessiva del governo del territorio che ispirò anche l'attività di un grande presidente toscano, Granfranco Bartolini», ha concluso Rossi.
fonte: Greenreport

martedì 20 novembre 2012

GLI AVANZI ? SI CUCINANO AL SUPERMERCATO

«Evitare le perdite e riciclare tutto». In particolare in tempi di crisi. Un motto ecologista e anti-sprechi che ascoltiamo spesso ma è la prima volta che un supermercato lo fa suo. 
Qual è? The People's supermarket, una cooperativa alimentare nel quartiere di Holborn a Londra. 



«Il nostro obiettivo? Ridurre al minimo gli scarti prodotti dalla grande distribuzione, proteggere l'ambiente e prolungare la vita degli alimenti». Ma non solo: «Generare profitto». E così, all'interno del super c'è una cucina dove si cucinano gli «scarti».
NON SI BUTTA VIA NIENTE - Un pomodoro rimasto qualche giorno in più nel contenitore, non proprio perfetto, con qualche ammaccatura, ma buono da mangiare, non verrà gettato come si fa di solito... ma diventerà un ingrediente fondamentale di una ricetta preparata nella People's Kitchen. «Questo permette di inventare nuovi piatti (sani) - si legge sul sito internet -. I clienti potranno comprarli e consumarli a casa».
TUTTO RITORNA - Grazie a questo metodo, circa 100 chili di prodotti vengono riciclati ogni settimana. Se alcune pietanze cucinate non sono consumate in giornata vengono date in beneficenza. E se non sono più commestibili si trasformano in concime di un terreno dove sono coltivati i fiori e le piante in vendita al supermercato. Tutto ritorna.
L'ESEMPIO DI NEW YORK - I prodotti provengono soltanto da coltivazioni biologiche. E sono rigorosamente del Regno Unito (per dare lavoro ai coltivatori locali). A ispirare l'idea è stata The Park Slope Food Coop, una cooperativa alimentare di Brooklyn, a New York. Ma Arthur Potts Dawson e Kate Wiches-Bull (i fondatori del PSFC) non avevano pensato di trasformare gli avanzi (ancora commestibili) in una succulenta zuppa o in un sandwich da gourmet (a prezzi molto accessibili).
di Rossella Burattino

fonte: corriere.it

domenica 18 novembre 2012

RIFLETTIAMO INSIEME: FACCIAMO DECRESCERE GLI SPRECHI, NON IL LAVORO


Decrescita non significa diminuzione: se fosse diminuzione, non si uscirebbe dalla logica quantitativa della crescita. Il concetto di decrescita implica l’introduzione di criteri di valutazione qualitativi. Cioè: molte cose che consumiamo, le sprechiamo. Abbiamo delle case che, per essere riscaldate, per ogni metro quadrato consumano mediamente 20 litri di gasolio o 20 metri cubi di metano all’anno, quando in Germania non danno la licenza di abitabilità a case che ne consumino più di 7, e le case migliori ne consumano 1,5. Il problema è che dobbiamo introdurre elementi di valutazione: non tutte le merci che fanno crescere il prodotto interno lordo sono beni, sono utili. E allora, se partiamo da questa premessa, sviluppiamo delle tecnologie in grado di ridurre gli sprechi.
Questo è il concetto, per noi, di decrescita: una tecnologia più avanzata di quella attuale, che ha per obiettivo non l’aumento della produttività, ma la riduzione del consumo di energia, del consumo di risorse e della quantità di oggetti che vengono portati allo smaltimento, cioè all’incenerimento o all’interramento in discarica, poiché tutti questi oggetti contengono materiali che possono essere recuperati e riutilizzati. Cosa direi ai Comuni? Prima cosa: mettere a posto, dal punto di vista energetico, il proprio patrimonio: hanno moltissimi edifici, che consumano un sacco di energia – e gli sprechi di questa energia sono, quantomeno, i due terzi. I Comuni possono rispondermi: ma noi non abbiamo i soldi per fare gli investimenti necessari a ridurre gli sprechi dienergia. Bene, esistono delle formule contrattuali che consentono di pagare i costi attraverso i risparmi che si riescono a ottenere.
La ristrutturazione energetica viene fatta – a loro spese – da alcune ditte specializzate; il proprietario dell’edificio (in questo caso, il Comune) continua a pagare quello che paga attualmente, quindi non ha nessun aggravio di costi, e in un certo numero di anni i risparmi economici conseguenti ai risparmi energetici consentono di ammortizzare l’investimento. Si creerebbe quindi un’occupazione utile, pagata con la riduzione degli sprechi. Una volta che i Comuni abbiano fatto una cosa di questo genere, avranno l’autorevolezza morale per proporre (e imporre, per certi aspetti) ai propri cittadini di ristrutturare le loro case. E quindi, il secondo passaggio che farei è quello di un “allegato energetico” al regolamento edilizio che non consenta di costruire nuove case né di ristrutturare le case esistenti se, al termine, il consumo di queste casesupera i 7 litri per metro quadrato all’anno.
Anche in questo caso, si metterebbe in moto molto lavoro: pensate soltanto a cosa succederebbe se un governo illuminato – cioè un ossimoro, allo stato attuale delle cose – decida di porre al centro della propria politica economica e industriale la ristrutturazione energetica del nostro patrimonio edilizio. Si creerebbe un sacco di lavoro attraverso la riduzione degli sprechi e attraverso una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica. Ma se alla fine di questo processo tutte le nostre case consumano di meno perché sprecano di meno – non perché la gente sta al freddo – noi avremo una decrescita qualitativa del prodotto interno lordo. E se si fanno scelte in direzione dell’aumento dell’efficienza, oggettivamente si toglie terreno alla corruzione e al crimine organizzato.
Se un Comune dà in appalto una grande opera, c’è la possibilità che si inseriscano delle forme di corruzione. Ma se si fa una ristrutturazione degli edifici in cui il Comune non paga niente – deve pagare la ditta che fa l’intervento, e la ditta si ripaga se l’intervento è fatto bene – non c’è neanche la materia per sviluppare delle forme di corruzione. E’ la logica della crescita che ci porta nella prospettiva di fare investimenti sempre maggiori e opere sempre più grandi, dando quindi spazio a fenomeni criminali. Dobbiamo dare spazio a una miriade di piccole e piccolissime aziende artigianali, che facciano i lavori di ristrutturazione su tutto il territorio nazionale. Piccoli appalti, in cui c’è rischio d’impresa, diffusi su tutto il territorio,costituiscono una base molto diversa rispetto a grandi appalti in cui ci dev’essere comunque un intervento da parte dello Stato.
Da questo punto di vista sono, tutto sommato, ottimista: non perché se facciamo la fotografia del quadro attuale possiamo esserlo, ma perché se facciamo il film di quello che è successo negli ultimi 15 anni, vediamo che comunque un’evoluzione c’è. E c’è un’attenzione da parte di alcuni settori produttivi: per esempio, io dovrò fare dei corsi di aggiornamento alla Confartigianato, a giovani artigiani dai 25 ai 30 anni. E la Confapi, la confederazione delle piccole e medie imprese, comincia a porsi il problema della decrescita nei termini che noi indichiamo. Perché decrescita non significa che le aziende devono lavorare di meno: significa che bisogna diminuire la produzione di cose inutili. Ma per fare questo, qualcuno deve lavorare di più, e lavorare bene. Non si può avere una decrescita qualitativa del Pil se non attraverso la crescita di alcuni settori che sono in grado di sviluppare le tecnologie che aumentano l’efficienza con cui si usano le risorse.
fonte: Maurizio Pallante, dichiarazioni rilasciate durante la trasmissione “L’inchiesta” condotta da Maurizio Torrealta, andata in onda il 10 novembre 2012 su “Rai News 24” – ospiti in studio Ugo Bardi, Stefano Bartolini e la blogger Debora Billi