FRODI ALIMENTARI: SEQUESTRATI FALSI PRODOTTI BIOLOGICI

La Guardia di Finanza di Verona ha sequestrato fabbricati e terreni per un valore di oltre 2,7 milioni di euro all'amministratore di una società per azioni di Casaleone (Verona).

COLTIVARE LE TERRE ABBANDONATE

La proposta di Marco Tacconi è semplice, ci sono tantissimi terreni agricoli incolti e abbandonati, perchè non sollecitare i proprietari che sono interessati a metterli a disposizione?

AIUTIAMO I BAMBINI A MASTICARE LENTAMENTE

Questa maledetta fretta e l’abitudine del “mordi e fuggi”, trasferita ormai anche all’alimentazione, ci portano a ingoiare il cibo invece di masticarlo. Complici anche i tanti prodotti alimentari di cui la pubblicità decanta la sofficità che, una volta messi in bocca, scivolano difilato giù nello stomaco.

GLI ORTI SPUNTANO PURE NELLE AZIENDE

Gli orti urbani hanno ormai superato la fase di semplice moda se, secondo i dati della Coldiretti, circa 21 milioni di italiani che stabilmente o occasionalmente coltivano l’orto o curano il giardino.

TORINO E' LA CITTA' DEI VEGANI

Torino è una città veg. Parlare di numeri non è semplice, ma i vegani a Torino sono tanti, tantissimi. «Forse più che qualsiasi altra città, basta vedere quanti punti vendita di cibo vegano ci sono, e non solo cibo».

sabato 29 settembre 2012

SULL'ALLARME DIOSSINA NELLE UOVA IN GERMANIA


Lo scandalo dei mangimi convenzionali tedeschi alla diossina sta determinando un significativo aumento dei consumi di prodotti biologici in Germania, tanto che per alcuni prodotti il sistema produttivo e distributivo nazionale non è più in grado di soddisfare la domanda. Un sondaggio dell'Istituto Emnid di questi giorni ha rilevato che quasi un terzo dei consumatori non si fida più dei prodotti convenzionali e acquista solo quelli biologici. A voltare ancora di più le spalle ai prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento convenzionali sono le persone con più di 65 anni, il 44% delle quali intende d'ora in poi acquistare solo prodotti biologici. 
L’Italia è leader in Europa per la produzione di uova biologiche e secondo le elaborazioni di FederBio circa il 15% della produzione italiana viene esportata in Germaniacon un incremento nelle ultime settimane di oltre il 70%. Questa significativa percentuale di aumento è dovuta in buona parte, secondo la Federazione, alla creazione di nuovi allevamenti di galline ovaiole anche da parte di importanti operatori del settore avicolo nazionale che finora non avevano avviato programmi di produzione biologica, dunque la situazione del mercato tedesco sta determinando una ricaduta positiva sul settore bio italiano. 
“La reazione dei consumatori in Germania - da sempre maggior mercato estero per le produzioni alimentari italiane, non solo biologiche - allo scandalo diossina sta comportando una crescita importante degli acquisti di prodotti biologici. – commenta Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio - Il settore sta rispondendo con efficienza a questo aumento della domanda , con la sola eccezione del comparto avicolo: in questi anni la zootecnia biologica in Italia è stata penalizzata da scelte ideologiche sul versante normativo e dalla totale assenza di una strategia di crescita nell’ambito dei piani di sviluppo rurale regionali. 
Da tempo FederBio chiede al Ministero e alle Regioni di condividere un piano d’azione dedicato alla zootecnia biologica: è una vera follia non sviluppare la zootecnia in un Paese dove quasi il 70% della superficie biologica è foraggiera e cerealicola. 
Quello che sta accadendo in Germania, che dimostra come ci siano molte opportunità non solo per le imprese già certificate bio, ma anche per i comparti oggi in crisi, come quello dei suini, che potrebbero avviare la riconversione produttiva, rende questa nostra richiesta più che mai attuale, nel contesto di una strategia nazionale che deve puntare decisamente alla sostenibilità e alla qualità delle produzioni animali. Le produzioni tipiche e la tracciabilità da sole non bastano più”.

venerdì 28 settembre 2012

NEGLI USA TROVATO ARSENICO NEL RISO...E IN ITALIA ?


La FDA (l’Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali statunitense) ha pubblicato nei giorni scorsi dati preoccupanti sui livelli di arsenico presente nel riso e nei prodotti derivati. I dati sono così sconcertanti che stanno lavorando per imporre un limite massimo consentito all’arsenico nel riso commercializzato.
Sono stati analizzati più di 200 campioni di circa 60 prodotti a base di riso, dal semplice riso a prodotti per bambini a cereali soffiati, ed è emerso che quasi tutti contenevano la forma “inorganica” dell’arsenico che è nota causare tumori alla vescica, ai polmoni e alla pelle.
I dati analizzati dalla FDA mostrano esattamente la quantità di arsenico inorganico presente nei campioni di riso di vario tipo e marche e la quantità si aggira tra 3,5-6,7 microgrammi per porzione (la porzione varia in base al tipo di prodotto analizzato).
Il problema dell’arsenico nel riso non è nuovo e da anni le associazioni dei consumatori hanno fatto pressioni per ottenere delle analisi e soprattutto delle restrizioni alla quantità di arsenico nel cibo dato che ora non è limitato da nessuna norma.
Il riso ha quantità più elevate di arsenico rispetto alla maggior parte degli altri alimenti perché come riferisce il Washington Post, Urvashi Rangan, tossicologo, ha detto: Il riso è particolarmente incline a raccogliere arsenico perché di solito cresce sotto l’acqua, assorbendo il contaminante dall’acqua sovrastante e dal terreno sotto.
In una dichiarazione riportata dal Business Week News, il commissario della FDA Margaret A. Hamburg, M.D. ha detto “Siamo consapevoli che i consumatori sono preoccupati per la presenza dell’arsenico, ed è per questo motivo che la FDA ha dato priorità analizzando i livelli di arsenico nel riso. La FDA si impegnerà a scoprire fino a che punto, sostanze come l’arsenico, siano presenti nei prodotti alimentari che giornalmente si consumano, quali sono rischi se ingeriti e se tali rischi possono essere ridotti al minimo”. Inoltre invita i consumatori a variare l’alimentazione e scegliere anche altri cereali.
Sul sito della FDA è stata allestita una FAQ per rispondere alle domande frequenti dei consumatori e tranquillizzarli, ecco il link http://www.fda.gov.

domenica 23 settembre 2012

LATTICINI E CANCRO...QUELLO CHE DOVETE SAPERE


Come pubblicato in un altro post, "Come l' industria casearia cerca di abbindolare i consumatori (la truffa dell' acido linoleico coniu-gato, presentato come antican-cerogeno)", ecco una panoramica delle principali ricerche scientifiche che mettono in qualche modo in relazione il consumo abituale di latte e derivati con alcuni tumori, ma che rimangono accuratamente nascoste al grande pubblico.

- Un lungo studio durato 11 anni e che ha investigato le abitudini alimentari di più di 20000 uomini statunitensi ha confermato l'associazione tra latte e cancro alla prostata (pare sia l'eccesso di calcio il maggiore imputato).

Sembra che per questo tipo di tumore  un eccesso di calorie sia particolarmente favorevole alla sua insorgenza (ma questo vale in qualche misura per qualsiasi tipo), mentre grassi saturi e calcio in eccesso ne stimoli lo sviluppo e l'evoluzione verso forme più maligne.

- Sempre per quanto riguarda il tumore alla prostata, è stata confermata molte volte la sua associazione con livelli elevati di IGF (fattori di crescita insulino-simili).
Queste IGF sono sostanze simil-ormonali di cui il latte è particolarmente ricco, in quanto servono alla crescita del neonato cui questo alimento è naturalmente destinato.

Non è difficile capire che in un organismo adulto, che non ha più bisogno di crescere, tutte queste sostanze che hanno l'effetto di stimolare la divisione cellulare e lo sviluppo in generale possano avere un effetto controproducente, e quindi favorire qualsiasi tipo di tumore, dato che, com'è risaputo, questa patologia è per definizione una crescita incontrollata di cellule differenziate. 

Infatti valori elevati di IGF nel plasma ( che però possono essere dovuti anche ad una dieta ipercalorica, con zucchero e grassi, o semplicemente eccessiva come quantità) si sono rivelati un fattore di rischio anche per il tumore alla mammella (almeno in donne giovani), inoltre la relazione tra latticini e questo tipo di tumore è stata riscontrata più volte in studi condotti in tutto il mondo.

- Altri importanti tumori associati ai latticini sono quelli che colpiscono il sistema linfatico (linfosarcomi e linfomi di Hodgkin).

-  Anche l'eccesso di galattosio (contenuto praticamente solo nel latte) può essere all' origine del cancro alle ovaie, soprattutto per quelle donne che presentano una predisposizione genetica che impedisce loro di metabolizzare adeguatamente questo zucchero.

Lo dimostrano due studi fra i più vasti mai effettuati: lo Nurses' Health Study, condotto su più di 80000 donne, e lo Swedish Mammography Cohort, al quale hanno partecipato oltre 60000 donne.

E come non menzionare che Colin Campbell, il noto ricercatore coautore del monumentale "The China Study", insiste  sul rapporto fra caseina (la principale proteina del latte) e il cancro sulla base di reiterate prove di laboratorio messe a confronto con altri studi e ricerche epidemiologiche di ampio respiro, anche se le sue drastiche conclusioni non convincono tutti? 

C'è da precisare infatti che, come dice il prof. Franco Berrino, il più noto oncologo italiano, la relazione tra latticini e cancro, generalmente parlando, è in vari casi confusa e  contraddittoria, probabilmente perchè si tratta di una categoria molto eterogenea di alimenti per caratteristiche fisico-chimiche e qualità, e di questo forse non si è tenuto conto abbastanza nell' interpretare i vari risultati.

Non è proprio colazione senza latte
E a proposito del dr. Berrino, mi sembra il caso di ricordare il suo ormai ben noto "Progetto DIANA", una delle più lunghe ricerche mai effettuate sul rapporto tra dieta e tumore al seno, iniziato nel lontano 1996 e portato avanti con successo sino ad oggi. 

Ma ora non starò certo a ripetere quanto già detto in un mio vecchio articolo, al quale rimando chi fosse interessato. Si tratta comunque di notizie di cui molti hanno già parlato in tante occasioni.

Voglio invece darvi una chicca, un particolare che fa parte del "dietro le quinte" del progetto, di cui quasi nessuno ha mai parlato, ma che è estremamente significativo e cruciale per capire il vero significato della prevenzione.

Essendo un epidemiologo, Berrino aveva già capito, ben prima che il progetto venisse varato, che le abitudini alimentari giocano un ruolo chiave nella dinamica del tumore al seno (quello più studiato), così pensò di provare ad elencare da una parte tutti i fattori che statisticamente avevano indicato aumentare il rischio, e dall' altra tutti quelli che lo riducevano, allo scopo di estrapolare una dieta ideale che in teoria avrebbe dovuto per questo risultare la più efficace a scopo preventivo.

Lo scienziato, che non era certo partito da una idea preconcetta, e non si prefiggeva di dimostrare alcunchè, scoprì così quasi per caso che la dieta che aveva formulato sulla base delle sue considerazioni ricavate, è bene precisarlo, su una mole gigantesca di dati epidemiologici provenienti da tutto il mondo, coincideva nella sostanza alle direttive standard della macrobiotica.

In base alle sue conoscenze, infatti, i maggiori fattori di rischio, che pertanto erano da minimizzare, si individuavano nei cibi animali, soprattutto carni e latticini, nello zucchero (e tutto ciò che lo contiene) e nei cereali raffinati.

Tutti alimenti, come si sa, sconsigliati dalla macrobiotica, mentre l' unico cibo animale che poteva essere incluso nella dieta era il pesce: proprio come consigliato dalla macrobiotica.

I fattori protettivi (in massima parte fitoestrogeni) risultavano invece presenti negli alimenti vegetali in genere, e in particolare nella famiglia delle crucifere (broccoli, cavoli di ogni genere, crescione ecc.) e nei cereali integrali, cioè gli alimenti, guarda caso, su cui si basa la macrobiotica.

Non solo, ma gli alimenti in cui questi fitoestrogeni sono maggiormente concentrati sono proprio quelli che la macrobiotica ha fatto conoscere al mondo occidentale: misosalsa di sojatofutempehlatte di soja ed alghe marine.

Toh, ma che perfetta coincidenza!

Fu allora che Berrino cominciò a maturare un vivo interesse per questa dieta, che però è prima di tutto una filosofia, cosa che lo portò a contattare "La Finestra sul Cielo", noto centro culturale torinese, ma soprattutto una della principali aziende italiane nella produzione, importazione e distribuzione di alimenti macrobiotici certificati.

Tale contatto fu necessario per poter fornire l' assistenza tecnica necessaria ai corsi di cucina (tenuti dal cuoco Giovanni Allegro, esperto di cucina macrobiotica) che erano parte fondamentale del progetto.

Il resto è storia.

di Michele Nardella
fonte: ilmioblogolistico.it

martedì 18 settembre 2012

QUANTO COSTERA' UN KG DI PASTA ?

La crisi mondiale che tutti stiamo vivendo colpisce sopratutto i più indigenti. Sono i poveri che diventano sempre più poveri. Non i ricchi che diventano meno ricchi. Siamo nel mezzo di una crisi alimentare gravissima. Complice la siccità che ha colpito pesantemente il Midwest americano, la Russia, l’Ucraina e altre aree del mondo, ci si attende un rialzo dei prezzi alimentari fino al al 50%. Sembra un bollettino di guerra.
Per il Dipartimento dell'Agricoltura americano la produttività per acro del prossimo raccolto sarà la peggiore degli ultimi 17 anni.

Intanto il 40% delle scorte di mais degli Stati Uniti viene utilizzato per produrre bio/carburante. 

Gli Stati Uniti, il più grande esportatore mondiale di soia, frumento e mais, è in ginocchio. 
Il mondo sta combattendo contro un numero record di emergenze. I granai del mondo sono svuotati, le scorte sono esaurite e i fondi sono insufficienti: mancano all’appello 4,1 miliardi di dollari, secondo stime Onu
Un’altra siccità negli Usa entro il 2030 potrebbe far aumentare il prezzo del mais fino al 140%  al di sopra dei prezzi medi alimentari, che saranno probabilmente già il doppio rispetto ai prezzi attuali. Anche la siccità e le alluvioni nell’Africa del sud potrebbero far aumentare il prezzo di vendita di mais e di altri cereali grezzi fino al 120%.
Con queste prospettive quanto verrebbe a costare un chilo di pasta? O un pasto? 
Visto che per la maggior parte dei popoli in povertà, la dieta (è proprio il caso di dirlo) quotidiana è costituita essenzialmente da una porzione di cereali. Nelle regioni delSahel (Africa Occidentale), SudanSomalia, Repubblica Democratica del Congo, AfghanistanKenyaZimbabwe  le comunità  che oggi vivono sulla soglia di povertà saranno trascinate ancora più in basso dai rialzi e dalla volatilità dei prezzi.
Quasi un miliardo di persone sono già troppo povere per sfamare se stesse. Saranno, come al solito, i più poveri della terra a  subire conseguenze drammatiche a causa dell’attuale impennata dei prezzi alimentari. Anche i paesi in via di sviluppo non ce la fanno a sopravvivere.
Uno dei più colpiti è lo Yemen, che acquista all’ estero il 90% del grano. Qui 10 milioni di persone patiscono la fame e oltre 250.000 bambini  sono in pericolo di vita, causa la malnutrizione. E le famiglie sono costrette a far sposare le figlie anche di dodici anni  pur di avere una bocca in meno da sfamare.
Oxfam non molla perché sanno bene che anche un piccolo atto di generosità verso la tutela del pianeta diventa per i più indigenti linfa preziosa. Sono appena partiti con la campagna “Come diventare ConsumAttori?” e nel dossier La trasformazione alimentare: il potere dei consumatori per creare un futuro alimentare equo illustra cinque passi, facili facili alla portata di tutti:
  1. ridurre i rifiuti alimentari
  2. supportare i piccoli produttori
  3. consumare meno carne
  4. acquistare cibo di stagione
  5. cucinare in modo intelligente.
Cinque buone azioni che, fatte a livello globale, possono contribuire a risanare un sistema alimentare al collasso, che lascia affamato ogni giorno quasi un miliardo di persone.
da IL FATTO QUOTIDIANO

lunedì 17 settembre 2012

I PESTICIDI LA CAUSA DELL'ADHD (iperattività) DEI BAMBINI

Pubblicata in USA sulla nota rivista scientifica "Pediatrics" una nuova ricerca sull'intossicazione da pesticidi collegata all'iperattività dei bambini: i ricercatori hanno localizzato tracce di insetticidi nell'urina dei bambini, riscontrando come quelli con livelli più alti di tracce di polifosfati sono quasi due volte più a rischio di sviluppare ADHD (la sindrome dei bambini distratti e troppo agitati, ndr) rispetto a quelli con livelli normale di contaminazione. 

"C'è una preoccupazione crescente circa il fatto che questi insetticidi possono essere direttamente correlati con l'ADHD - ha dichiarato all'agenzia di stampa Reuters il dott. Marc Weisskopf, della Scuola di Harvard di Salute Pubblica, che ha lavorato allo studio - e quello che questa ricerca ha messo in chiara evidenza - ha aggiunto Weisskopf - è che tutto ciò è vero anche alle concentrazioni più basse". 

Gli organofosfati furono originariamente sviluppati per la guerra chimica, e successivamente ampiamente utilizzati in agricoltura, nonostante i sospetti di tossicità per il sistema nervoso. Weisskopf ha rilevato come la presenza di questi agenti chimici nel cibo possa generare alcuni tra i sintomi comportamentali più comuni per l'ADHD, come ad esempio l'eccessiva impulsività, in ampie fasce di popolazione infantile, pari a circa il 10% dei bambini USA. 

"Siamo sempre stati dell'opinione, e i fatti ora ci stanno dando ragione - ha dichiarato il Dott. Paolo Roberti di Sarsina, Dirigente di Psichiatria all'AUSL di Bologna - che principalmente nell'ADHD ma anche in altre patologie come l'autismo, sono coinvolti fenomeni di intossicazione ed avvelenamento: soggetti che sono costituzionalmente più fragili, risultano sovraesposti a questi fattori, stesso dicasi per tutta una serie di coloranti artificiali che troviamo nelle più comuni caramelle e merendine. In futuro vedranno la luce sempre più ricerche in quest'ambito, che confermeranno la necessità di un'alimentazione "sostenibile" del bambino e anche della donna fin dalla prima gravidanza".

Un metodo efficace per risolvere il problema - dichiarano gli esperti - sarebbe la cosiddetta "diagnosi differenziale", una procedura diagnostica che permette di identificare le vere causa alla radice dei problemi di comportamento, distinguendo i problemi di origine ambientale da quelli psichiatrici. Un metodo che comporta però l'impiego di risorse spesso non disponibili nelle ASL. "E' clamoroso - dichiara il Prof. Claudio Ajmone, psicologo ed esperto di ADHD - era il 2006 la prima volta che abbiamo avanzato all'Istituto Superiore di Sanità ed all'Agenzia del Farmaco una richiesta ben circostanziata, per inserire una seria diagnosi differenziale nei protocolli diagnostico-terapeutici per l'ADHD. L'ISS prevede nei propri protocolli la diagnosi differenziale solo per poche patologie, e tra esse ad esempio non sono inclusi questi pesticidi. Se noi elidiamo dai casi di ADHD in cura con psicofarmaci tutti i casi il cui disagio comportamentale e frutto di altre cause, come questi pesticidi, o i coloranti alimentari, cosa ci resta dell'ADHD? Solo un grande business a favore delle multinazionali farmaceutiche. 

Noi non stiamo aiutando questi bambini, gli stiamo facendo del male"
Luca Poma, giornalista e portavoce di Giù le Mani dai Bambini®, il più rappresentativo comitato di farmacovigilanza pediatrica in Italia (www.giulemanidaibambini.org) conclude: 
"l'ADHD è figlia della nostra società: noi adulti causiamo questa sindrome ai nostri bambini, aggravando con la nostra noncuranza fattori di rischio ambientali, e poi pretendiamo di "rimediare" somministrandogli potenti psicofarmaci e metanfetamine che li espongono a rischi gravi per la loro salute. Facciamo ora appello all'Istituto Superiore di Sanità affinché un serio protocollo per una diagnosi differenziale completa venga applicato a tutti i bambini italiani in cura per problemi di comportamento".