FRODI ALIMENTARI: SEQUESTRATI FALSI PRODOTTI BIOLOGICI

La Guardia di Finanza di Verona ha sequestrato fabbricati e terreni per un valore di oltre 2,7 milioni di euro all'amministratore di una società per azioni di Casaleone (Verona).

COLTIVARE LE TERRE ABBANDONATE

La proposta di Marco Tacconi è semplice, ci sono tantissimi terreni agricoli incolti e abbandonati, perchè non sollecitare i proprietari che sono interessati a metterli a disposizione?

AIUTIAMO I BAMBINI A MASTICARE LENTAMENTE

Questa maledetta fretta e l’abitudine del “mordi e fuggi”, trasferita ormai anche all’alimentazione, ci portano a ingoiare il cibo invece di masticarlo. Complici anche i tanti prodotti alimentari di cui la pubblicità decanta la sofficità che, una volta messi in bocca, scivolano difilato giù nello stomaco.

GLI ORTI SPUNTANO PURE NELLE AZIENDE

Gli orti urbani hanno ormai superato la fase di semplice moda se, secondo i dati della Coldiretti, circa 21 milioni di italiani che stabilmente o occasionalmente coltivano l’orto o curano il giardino.

TORINO E' LA CITTA' DEI VEGANI

Torino è una città veg. Parlare di numeri non è semplice, ma i vegani a Torino sono tanti, tantissimi. «Forse più che qualsiasi altra città, basta vedere quanti punti vendita di cibo vegano ci sono, e non solo cibo».

mercoledì 16 gennaio 2013

L'AGRICOLTURA BIOLOGICA PER UN SISTEMA ALIMENTARE SOSTENIBILE



Tra il 2009 e il 2010 l'estensione di terra coltivata biologicamente è però sceso di un piccolo 0,1%, una diminuzione che è stata più forte in India e Cina, ma compensata da un ulteriore aumento del biologico in Europa. Va anche detto che, nonostante un calo della terra coltivata biologicamente in Cina e in India, tra il 2009 e il 2010 il volume delle esportazioni di prodotti biologici in India è aumentato del 20%.

A sorpresa, il continente con la maggiore è stata l'Oceania: in Australia, Nuova Zelanda e nei piccoli Stati insulari del Pacifico nel 2010 venivano coltivati biologicamente 12,1 milioni di ettari, in Europa 10 milioni di ettari ed in America Latina 8,4 milioni di ettari. L'Africa ha il 3% dei terreni agricoli biologici certificati del mondo, con poco più di 1 milione di ettari certificati, L'Asia il 7%, per un totale di 2,8 milioni di ettari.

La ricerca, pubblicata su Vital Signs Online del Worldwatch Institute, sottolinea che l'agricoltura biologica è ormai normata da standard internazionali: nel 2010 erano 84 i Paesi del mondo che attuavano regolamenti per il biologico, 10 in più che nel 2009. Ma le certificazioni per l'agricoltura biologica sono sempre più concentrate nei Paesi più ricchi. L'Europa tra il 2009 e il 2010 ha aumentato del 9% i suoi terreni, la crescita più grande crescita in ogni continente. Gli Usa sono invece rimasti indietro nell'adozione di metodi di produzione agricola sostenibili. Se però si considerano le vendite di prodotti biologici e non la produzione, l'industria statunitense dei prodotti organici è uno dei settori in più rapida crescita nel Paese: più 9,5% nel 2011, quando ha raggiunto 31,5 miliardi dollari di fatturato.

Dato che come la gran parte della crescita della popolazione mondiale è concentrata nei Paesi più poveri, la produzione alimentare sostenibile sarà sempre più importante nei Paesi in via di sviluppo. Il rapporto evidenzia che «L'agricoltura nei Paesi in via di sviluppo è spesso ad intensità di lavoro molto più alta rispetto ai Paesi industriali, quindi non è sorprendente che circa l'80% degli 1,6 milioni di agricoltori biologici certificati globali viva nel mondo in via di sviluppo». I paesi con più produttori biologici certificati nel 2010 sono stati l'India (400.551 agricoltori), l'Uganda (188.625), e il Messico (128.826). Ma l'agricoltura biologica non certificata nei Paesi in via di sviluppo è praticato da milioni di indigeni, contadini e piccole aziende agricole familiari, sia nell'agricoltura di sussistenza che nelle produzioni locali destinate al mercato.

Le definizioni di agricoltura biologica variano a seconda degli Stati, ma secondo la Federation of Organic Agriculture Movements «L'agricoltura biologica è un sistema di produzione che si basa su processi ecologici, piuttosto che sull'utilizzo di input sintetici, come i fertilizzanti chimici e pesticidi». 

La Reynolds, una ricercatrice del Food and agriculture program del Worldwatch, spiega: «Anche se l'agricoltura biologica produce spesso un calo dei rendimenti del terreno coltivato di recente in modo convenzionale, è possibile superare le pratiche tradizionali, specialmente nei periodi di siccità, quando la terra viene coltivata più a lungo in modo biologico. Le pratiche agricole convenzionali spesso degradano l'ambiente sia a lungo termine che a breve, attraverso l'erosione del suolo, l' eccessiva estrazione di acqua e la perdita di biodiversità».

Secondo lo studio «L'agricoltura biologica ha il potenziale per contribuire alla sicurezza alimentare sostenibile, migliorando l'assunzione di nutrienti e sostenendo le condizioni di vita nelle zone rurali, allo stesso tempo riduce la vulnerabilità al cambiamento climatico e migliora la biodiversità. Le pratiche sostenibili connesse all'agricoltura biologica sono relativamente alta intensità di manodopera. L'agricoltura biologica utilizza fino al 50% in meno di energia da combustibili fossili rispetto all'agricoltura convenzionale e le pratiche comuni, tra le quali la rotazione delle colture biologiche, l'applicazione di concime ai campi vuoti, e il mantenimento di arbusti perenni ed alberi nelle aziende agricole, stabilizzano anche i suoli e migliorano la ritenzione idrica, in modo da ridurre la vulnerabilità agli eventi atmosferici. In media, le aziende biologiche hanno il 30% in più di biodiversità, compresi gli uccelli, insetti e piante, di quel che hanno le aziende agricole convenzionali».

venerdì 11 gennaio 2013

ROBERTO BURDESE, PRESIDENTE SLOW FOOD ITALIA


Sempre nel corso di quest’anno e sempre a proposito di semina di mais geneticamente modificato, la Corte di Giustizia europea dovrà esprimersi sulla vicenda Fidenato: a Pordenone il processo nei confronti dell’imprenditore che nella primavera del 2011 ha seminato senza autorizzazioni, si è chiuso con un nulla di fatto. Il giudice, proprio in ragione della sentenza della Corte di Giustizia, ha chiesto che sia questo stesso organo a pronunciarsi sulla compatibilità tra le norme italiane e la direttiva Europea.
E tra pochi giorni, sempre a Pordenone, si apre il processo nei confronti degli attivisti diGreenpeace che proprio sui campi di Fidenato erano intervenuti tagliando, isolando e mettendo in sicurezza la parte superiore delle piante di mais transgenico (quella che produce il pollineresponsabile della contaminazione di colture non gm).
Tutto questo (e altro ancora) avverrà nel pieno di una campagna elettorale dove – ho il forte sospetto – non sentiremo una parola sull’argomento da nessun candidato Presidente del Consiglio dei Ministri. Molto più importante parlare di spread, che per gli elettori è argomento altrettanto ostico. Lo spread però non si mangia, mentre gli Ogm sono già sulla nostra tavola (a partire dal fatto che larghissima parte dei mangimi per l’alimentazione animale provengono da vegetali transgenici). Favorevoli o contrari agli Ogm (noi di Slow Food, come noto, siamo nettamente dalla parte di coloro i quali gli Ogm non li vogliono perché, innanzitutto, non servono alla nostra agricoltura) credo che tutti quanti vorremmo sapere che cosa pensa di fare il nostro futuro Premier su questo tema, centrale per il futuro dell’agricoltura, dell’alimentazione, dell’ambiente nel nostro Paese.
Intanto l’anno è iniziato con notizie importanti anche in Europa. Il 2 gennaio scorso, il governo polacco ha adottato misure di salvaguardia nazionale volte a vietare la coltivazione del mais geneticamente modificato MON810 della Monsanto e della patata Amflora della Basf, gli unici due organismi geneticamente modificati autorizzati per la coltivazione nell’Unione europea. I due divieti entreranno in vigore a partire dal 28 gennaio 2013. Dalla Commissione europea hanno dichiarato che, come nel recente caso della Francia, la Polonia dovrà fornire nuove prove volte a giustificare l’imposizione del divieto e l’Efsa valuterà la richiesta. La Polonia è, dunque, l’ottavo Stato membro ad imporre misure di salvaguardia nazionali nei confronti delle colture geneticamente modificate, insieme a Francia, Germania, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Lussemburgo.
Cari candidati Premier, voi cosa pensate di fare?

mercoledì 9 gennaio 2013

FOOD-SHARING: CONDIVIDERE IL CIBO PER EVITARNE LO SPRECO



È stata lanciata in alcune città tedesche una piattaforma web per mettere in rete il cibo che non si riesce a consumare. Il principio è quello della condivisione degli alimenti che altrimenti finirebbero nella spazzatura.

La prima esperienza di food-sharing è nata qualche mese fa in Germania attraverso il passaparola.

Un gruppo di famiglie tedesche si è posto, qualche mese fa, la stessa domanda e ha dato vita ad un’iniziativa chiamata “food-sharing”: la condivisione degli alimenti freschi e/o cucinati in giornata che una famiglia non riesce a consumare interamente e che, altrimenti, finirebbero nella pattumiera domestica. A chi di noi, infatti, non è mai capitato di dover staccare il frigorifero prima di partire per le vacanze e regalare alimenti ancora commestibili a parenti e amici? Oppure scoprire di aver acquistato cibi in eccesso e di non essere in grado di consumarli tutti? Ed ecco che il food-sharing può essere la soluzione. Un’idea semplice e di buon senso.

La prima esperienza è nata qualche mese fa in Germania attraverso il passaparola, nelle città di Berlino, Colonia, Monaco di Baviera, Ludwigsburg (cittadina del Baden-Wuettemberg) e Chemnitz (città della Sassonia). Ma, in poco tempo, domanda e offerta sono diventate così numerose che il fai-da-te ha lasciato il posto ad una piattaforma online alla quale chiunque può iscriversi per scambiare gli alimenti in esubero con quelli di cui ha necessità o, semplicemente, per offrire ad altri le proprieeccedenze alimentari.

Il principio che ne sta alla base del food-sharing è spingere le persone a spartirsi il cibo, anziché gettarlo nella spazzatura. Il 'valore commerciale' degli alimenti offerti non ha alcuna importanza, perché ciò che conta davvero è il 'valore etico' della condivisione. Grazie al food-sharing, però, tutti possono fare qualcosa di concreto per impedire lo spreco di alimenti ancora perfettamente commestibili.
Il principio che ne sta alla base del food-sharing è spingere le persone a spartirsi il cibo, anziché gettarlo nella spazzatura

Il portale web spiega come, nella sola Germania, lo spreco pro-capite sia di circa 82 kg di alimenti all’anno e come 500.000 tonnellate di cibo commestibile ogni anno siano dirette alladiscarica (ad es. un panino su 5 e un ortaggio su 2 finiscono nella pattumiera), mentre un miliardo di persone nel mondo soffre la fame e un bambino malnutrito muore ogni 15 secondi.

Sulla piattaforma si possono trovare i più disparati generi alimentari: riso, pasta (anche fatta in casa), omogeneizzati per bambini, latte, cornflakes, cioccolato, caffè, marmellate, formaggi, birra, vino, biscotti, frutta e verdura km zero – queste ultime rigorosamente di stagione. Ogni offerta alimentare indica la città, la tipologia e la quantità del cibo, la data di scadenza e la data in cui i prodotti scelti possono essere ritirati.

Anche le date di scadenza dei cibi sono le più varie: si va da un giorno a qualche giorno, fino ad arrivare ad alcune settimane o mesi. Naturalmente, per poter offrire alimenti quali carne fresca, latte e latticini, pesce, pollame, uova, cibi già cucinati, ecc. il portale chiede a tutti gli iscritti il rispetto della catena del freddo e di precise norme igienico-sanitarie e di conservazione.

Ma non è tutto. Il food-sharing, infatti, non si rivolge esclusivamente a singoli cittadini dotati di buona volontà, ma anche ad aziende alimentari, produttori, esercizi commerciali, società di ristorazione e associazioni che si occupano di recupero e gestione delle eccedenze alimentari.
Il portale chiede a tutti gli iscritti il rispetto della catena del freddo e di precise norme igienico-sanitarie e di conservazione

Il food-sharing “non è solo condividere il cibo con i bisognosi, ma con tutti. Dobbiamo superare l’imbarazzo e le inibizioni che ci impediscono di accettare cibo da altri”, spiega l'attivista Raphael Fellmer. "Non si tratta semplicemente di offrire il cibo eccedente, ma di creare un nuovo modello sociale. Per questo collaboriamo anche con i supermercati e, a Berlino, con i produttori bio”. Il cibo non è una merce al pari delle altre: condividere le eccedenze alimentari significa anche evitare lo spreco di risorse e la produzione di rifiuti.

Il servizio di food-sharing - che è online dallo scorso 12 dicembre 2012 - per il momento è disponibile soli in alcune città tedesche(Berlino, Colonia, Monaco di Baviera, Ludwigsburg e Chemnitz), ma a breve il portale sarà online anche in Svizzera e Austria e, nel corso del 2013, in altri paesi europei.

Recenti studi hanno reso noto che il 2012 è stato l’anno del car-sharing in Italia: auguriamoci, quindi, che il 2013 sia l’anno del food-sharing.

domenica 6 gennaio 2013

RIFLETTIAMO INSIEME: EVOLUZIONE RURALE, VERSO UN NUOVO MODELLO


di Guido Bissanti

L’agricoltura come oggi la conosciamo nei Paesi occidentali è il frutto di una serie di evoluzioni scientifiche, sociali, culturali e tecnologiche.



Dalla prima pratica agricola, datata circa 10.000 anni or sono, si sono evolute varie fasi fino ai giorni nostri dove l’agricoltura, come in gran parte è diffusa nei Paesi occidentali, si basa oramai su modelli produttivi di tipo intensivo. L' agricoltura intensiva permette di sfruttare al massimo la capacità produttiva del terreno (definizione tipica dei dizionari) ma si basa essenzialmente su specializzazioni produttive che mal si legano all’ecosistema naturale ed all’ecosistema sociale.

Spieghiamo questo concetto.

L’ecosistema è un complesso ove ogni singolo componente contribuisce all’insieme attraverso rapporti di reciprocità e sistemi di autocontrollo. Pertanto un ecosistema può considerarsi, pur nella molteplicità dei suoi componenti, un unico organismo.

L’agricoltura intensiva va in antitesi a questa logica e spesso ogni singolo componente viene visto a se stante o addirittura messo in antinomia con altri (lotta ai parassiti, diserbi, ecc.).

Possiamo asserire che la moderna agricoltura si sia evoluta su scarsissime basi scientifiche ed esclusivamente su basi produttive e commerciali. Tutto ciò ha evidenti ripercussioni ecologiche e sociali in quanto il modello produttivo è vittima e carnefice di un sistema che, di fatto, ha messo in crisi ecosistema sociale ed ecosistema naturale.

La moderna agricoltura è uno dei modelli tecnologici meno evoluti e a più bassa efficienza energetica che l’umanità abbia mai sperimentato.

Potendo fare un bilancio empirico tra il rendimento energetico di un ecosistema naturale e l’ecosistema agricolo troviamo un rapporto di 10 ad 1. Eppure, dietro la spinta di grandi e sconsiderati interessi economici (potentati e multinazionali) non si riesce ad uscire da questa contraddizione e scelleratezza sociale e culturale.

L'agricoltura moderna preferisce usare le monocolture, perché hanno rese più alte. Purtroppo esse oltre ad impoverire il terreno, provocano l'insorgere delle malattie, e di parassiti, che potrebbero danneggiare la piante. Perciò l'uomo per rimediare a ciò ha iniziato ad usare fertilizzanti, pesticidi e diserbanti. Questi prodotti chimici, oltre ad inquinare in toto l’ecosistema, penetrano nel terreno e inquinano le falde acquifere, che a loro volta possono provocare l'insorgere delle malattie nelle piante e nell'uomo.

Diciamo che, in sintesi, l’uomo ha costruito un sistema fittizio che per potersi reggere richiede grandi quantitativi energetici (carburanti, fertilizzanti, diserbanti, ecc.) cose che in natura sono già disponibili anche se in forme e consistenze diverse.

Tutto questo, oltre ad aver impoverito l’ecosfera, ha ridotto al lumicino il patrimonio delle conoscenze rurali che si tramandavano di padre in figlio e che sono state sostituite dalle “conoscenze” riduzioniste: dove semplificazione e banalizzazione sono divinità assolute.

In definitiva, gli effetti del modello agricolo occidentale hanno diminuito gli unici due ecosistemi che conosciamo: quello sociale e quello naturale.

L’allocuzione che la moderna agricoltura sia nata per sfamare il mondo è una delle bugie scientifiche, culturali e filosofiche più grandi dell’intera Storia della Civiltà.

È un ragionamento senza basi scientifiche e pieno di falsità ideologiche. Basta operare un minimo bilancio termodinamico tra sistemi agricoli monocolturali (sistemi aperti) e sistemi agricoli biodiversi (sistemi chiusi) che ci si accorge come tra i due modelli esiste un abisso.

Vediamo gli effetti maggiori della moderna ed evoluta agricoltura:

• Diminuzione delle specie coltivate (perdita della biodiversità agricola che si va a sommare alla biodiversità globale);

• Diminuzione delle specie animali nelle aziende agricole (con perdita degli apporti di sostanza organica);

• Perdita di suolo per destrutturazione dei terreni (azione congiunta dell’apporto di fertilizzanti di sintesi, diserbanti, ecc. e diminuzione della sostanza organica);

• Diminuzione di microrganismi ed insetti utili (tra cui i pronubi) con conseguente diminuzione delle produzioni agricole ed aumento di quelli, classificati nocivi;

• Abbandono dei terreni marginali con conseguente dissesto sociale ed ecologico di queste aree;

• Inquinamento delle falde e dei corsi e dei corpi d’acqua (azione congiunta con l’inquinamento dovuto alle altre attività sociali);

• Aumento esponenziale delle malattie umane dirette (uso dei prodotti di sintesi) ed indirette (alimentazione umana);

• Perdita dei saperi tradizionali e della scienza applicata;

• Destrutturazione e squilibrio sociale ed organizzativo delle aree rurali ed urbane;

• Ecc. ecc.

Per di più, e non ultimo, il modello produttivo ed organizzativo legato a questo tipo di agricoltura ha ingenerato una specializzazione dell’offerta che ha inciso negativamente sul sistema commerciale a sfavore delle microimprese (piccoli punti di distribuzione, botteghe, ecc.), anche qui con un aggravio energetico e dei trasporti impressionante.

Fin qui l’analisi vediamo adesso le possibili soluzioni:

• Le aziende agricole devono organizzarsi in sistemi chiusi, con produzioni diversificate e con un equilibrio tra flora e fauna consono alle esigenze energetiche della cellula aziendale;

• Le risorse e gli apporti energetici devono essere pertanto locali col minimo utilizzo di fattori esterni (ricordiamo che il trasporto di ogni massa richiede dispendi energetici);

• Le energie necessarie al ciclo produttivo devono essere esclusivamente rinnovabili e i sistemi agricoli sono quelli con maggiore disponibilità di tale frazione energetica;

• I luoghi e centri di distribuzione dei prodotti devono essere quanto più vicini ai luoghi di produzione (rispetto del protocollo di Kyoto);

• La ricerca, la scienza e la tecnica devono ritornare in campagna: senza questo presupposto Ricercatori, tecnici ed agricoltori saranno sempre più poveri;

• La scuola deve rivedere i concetti dell’obbligo formativo attraverso la delocalizzazione formativa e l’esperienza di pieno campo (concetto valido per tutti i settori produttivi);

• I sistemi di qualità e controllo devono uniformarsi al concetto di Agricoltura Naturale quale principio di qualità a se stante.

È evidente che questi sono principi conducenti all’interno dei quali bisognerà mettere a punto modelli politici e fiscali adeguati ma è palese che con un prototipo produttivo più naturale l’efficienza dell’intero Sistema sarà maggiore.

Tutto ciò diminuirà la necessità di politiche finanziarie (vedi PAC) e di sistemi di controllo e burocratici che nulla hanno a che vedere con la necessaria Dignità che, in nome di speculazioni macchinose, abbiamo tolto all’Uomo e alla Natura.

sabato 5 gennaio 2013

DALLE "FATTORIE VERTICALI" UNA RISPOSTA SOSTENIBILE ALLA ESIGENZA DI CIBO ?


di Federico Gasperini


La sostenibilità è ancora tutta da dimostrare, ma si fa crescente la voce di una risposta alla crescente esigenza di cibo dovuta alla crescita mondiale della popolazione (9 miliardi le persone previste al mondo nel 2050) proveniente proprio dalle città dove risiederà l'80% della popolazione. 

Nelle aree urbane infatti si pensa di sviluppare l'agricoltura attraverso i ''grattacieli serra'' (il primo dei quali è già in costruzione in Svezia), un nuovo sistema di coltivare che riduce drasticamente la superficie di terreno occupato e non ha bisogno di terra. Senza pregiudizi è opportuno valutare attentamente questa proposta, considerato che secondo i dati Fao entro il 2020 sarà disponibile solo la metà dei terreni arabili pro-capite che c'erano nel 1960, area che si dimezzerà ancora entro il 2050 se non migliorerà la qualità del suolo.

Con le cosiddette "fattorie verticali" in grado di ospitare, su decine di piani e direttamente nei centri urbani, molte colture diverse, potrebbero aumentare sensibilmente i raccolti (la crescita sarebbe assicurata tutto l'anno), e dato che si tratta di serre ''protette'' risulterebbero inutili pesticidi o altri prodotti chimici ora ampiamente usati per contrastare insetti e piante infestanti.

Attualmente all'avanguardia nel settore dei ''grattacieli serra'' è appunto la Svezia (altre esperienze si stanno attivando anche in Giappone, Singapore, Cina e Usa). Nel Paese Scandinavo, a Linkoping, la società Plantagon sta costruendo una struttura di 54 metri di altezza che riduce al minimo la necessità per le coltivazioni, di energia, acqua e pesticidi.

Inoltre secondo l'azienda si riduce anche l'impatto ambientale della filiera in quanto i prodotti vengono consegnati direttamente ai consumatori in città con costi di trasporto ridotti al minimo. Nelle fattorie verticali, spiegano i progettisti, la semina avviene nei piani più alti. Non serve la terra, perché la crescita è assicurata dall'uso di acqua opportunamente arricchita di minerali.

Durante la crescita le verdure vengono portate nei piani più bassi e quando sono a giusta maturazione si trovano a livello del terreno. La produttività è molto elevata: fino a 300 chili di raccolto per metro quadro, quindi un grattacielo serra di 25 piani può così assicurare una produzione sufficiente per 350mila persone. Entro il 2014 l'edificio svedese dal design avveniristico, obliquo per meglio assorbire la luce solare, dovrebbe essere in grado di produrre una vasta gamma di verdure a foglia verde, tra cui insalata, spinaci, e sedano bianco.