FRODI ALIMENTARI: SEQUESTRATI FALSI PRODOTTI BIOLOGICI

La Guardia di Finanza di Verona ha sequestrato fabbricati e terreni per un valore di oltre 2,7 milioni di euro all'amministratore di una società per azioni di Casaleone (Verona).

COLTIVARE LE TERRE ABBANDONATE

La proposta di Marco Tacconi è semplice, ci sono tantissimi terreni agricoli incolti e abbandonati, perchè non sollecitare i proprietari che sono interessati a metterli a disposizione?

AIUTIAMO I BAMBINI A MASTICARE LENTAMENTE

Questa maledetta fretta e l’abitudine del “mordi e fuggi”, trasferita ormai anche all’alimentazione, ci portano a ingoiare il cibo invece di masticarlo. Complici anche i tanti prodotti alimentari di cui la pubblicità decanta la sofficità che, una volta messi in bocca, scivolano difilato giù nello stomaco.

GLI ORTI SPUNTANO PURE NELLE AZIENDE

Gli orti urbani hanno ormai superato la fase di semplice moda se, secondo i dati della Coldiretti, circa 21 milioni di italiani che stabilmente o occasionalmente coltivano l’orto o curano il giardino.

TORINO E' LA CITTA' DEI VEGANI

Torino è una città veg. Parlare di numeri non è semplice, ma i vegani a Torino sono tanti, tantissimi. «Forse più che qualsiasi altra città, basta vedere quanti punti vendita di cibo vegano ci sono, e non solo cibo».

lunedì 30 settembre 2013

COME SI PRODUCE L'OLIO BIOLOGICO

L’estrazione morbida a freddo



RACCOLTA

Certamente di importanza notevole, al fine di ottenere un ottimo olio, è il momento della raccolta. Le olive vanno raccolte al momento giusto della maturazione, ne prima ne soprattutto dopo. Nelle nostre contrade, noi procediamo alla raccolta, totalmente manuale, tra i mesi di novembre e dicembre, non oltre. Raccogliere in periodi successivi, vorrebbe dire raccogliere un’oliva eccessivamente matura, ed ossidata, con risultati pessimi, cioè un olio ad acidità e perossidi altissimi, certamente non il massimo della qualità! Subito dopo la raccolta vengono portate nel nostro frantoio, ed immediatamente avviate alla macinatura e comunque non oltre le 24 ore successive.





PULITURA

Il primo passo è la pulitura delle olive, da foglie e da residui di terriccio.



MOLITURA

Successivamente alla pulitura, si passa alla molitura delle olive, attraverso macine di pietra granito delle alpi che ruotano in senso orario per circa 20 min. ottenendo così una pasta.




GRAMOLATURA

La pasta così ottenuta viene successivamente gramolata per qualche minuto, questo per poterla lavorare meglio. 

IMPILATURA

Successivamente la pasta viene distribuita uniformemente su dei dischi di nilon (i fiscoli), impilati poi l’uno sull’altro a mo di pila su dei carrelli.

PRESSATURA

Questi vengono poi collocati sotto presse idrauliche. La presse lentamente e morbidamente salegono, premendo fino ad una pressione di 300 atm. Da questa lenta pressatura si ottiene la fuoriuscita sia di olio che di acqua (acqua di vegetazione).

SEPARAZIONE

Spetterà poi al separatore, procedere alla fase finale, cioè la separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione attraverso la forza centrifuga.

E’ questo il vero ed unico sistema di estrazione a freddo che noi pratichiamo da sempre. 

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Il nostro olio extra vergine di oliva proviene esclusivamente da uliveti pugliesi, soprattutto dalla varietà “oliarola” che è anche la più resistente agli attacchi parassitari ed è quindi quella che si presta maggiormente a chi, come noi, non intende utilizzare per la difesa sostanze chimiche.


Le olive appena raccolte, vengono macinate entro 12 ore per garantire un prodotto con acidità ed altri parametri chimici molto al di sotto dei limiti di legge.
L'estrazione avviene semplicemente per pressione a freddo, non si fa assolutamente uso di sostanze di qualsiasi natura per facilitare l’estrazione ed ottenere maggiori rese.
Però non basta produrre un buon olio ma bisogna anche saperlo conservare. 
Il nostro olio non è filtrato ma è semplicemente decantato naturalmente e conservato in antiche posture di pietra interrate, rivestite d’acciaio, che consentono un ottimo isolamento termico.

FG003-REG.CE 2815/98 
Questo codice, attribuitoci dalla regione Puglia, garantisce la provenienza esclusivamente italiana del nostro olio, attesta quindi che l'olio viene prodotto da olive raccolte nelle nostre contrade, e frante nel nostro frantoio a freddo con metodo tradizionale.



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OLIO EXTRAVERGINE BIOLOGICO PUGLIESE


Il nostro olio extra vergine di oliva proviene esclusivamente da uliveti pugliesi, soprattutto dalla varietà “oliarola” che è anche la più resistente agli attacchi parassitari ed è quindi quella che si presta maggiormente a chi, come noi, non intende utilizzare per la difesa sostanze chimiche.


Le olive appena raccolte, vengono macinate entro 12 ore per garantire un prodotto con acidità ed altri parametri chimici molto al di sotto dei limiti di legge.
L'estrazione avviene semplicemente per pressione a freddo, non si fa assolutamente uso di sostanze di qualsiasi natura per facilitare l’estrazione ed ottenere maggiori rese.
Però non basta produrre un buon olio ma bisogna anche saperlo conservare. 
Il nostro olio non è filtrato ma è semplicemente decantato naturalmente e conservato in antiche posture di pietra interrate, rivestite d’acciaio, che consentono un ottimo isolamento termico.

FG003-REG.CE 2815/98 
Questo codice, attribuitoci dalla regione Puglia, garantisce la provenienza esclusivamente italiana del nostro olio, attesta quindi che l'olio viene prodotto da olive raccolte nelle nostre contrade, e frante nel nostro frantoio a freddo con metodo tradizionale.




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giovedì 26 settembre 2013

TORINO E' LA CITTA' DEI VEGANI

Torino è una città veg. Parlare di numeri non è semplice, ma i vegani a Torino sono tanti, tantissimi. «Forse più che qualsiasi altra città, basta vedere quanti punti vendita di cibo vegano ci sono, e non solo cibo». Lo dice Viviana Ribezzo, vegana - quasi da sempre - con una piccola casa editrice Cosmopolis, e che per prima si inventò un «Veg Festival» proprio qui. «Trent’anni fa dire anche solo che eri vegetariano ti metteva addosso un’etichetta. Mi ricordo mio padre - racconta -. Quando andavamo al ristorante lo diceva quasi scusandosi al cameriere: “Sa è vegetariana”...». 


Adesso invece non solo in centro città ci sono ristoranti, bar per aperitivi, gastronomie, pasticcerie, sì avete letto bene pasticcerie dove acquistare bignè alla crema, senza latte e senza uova e gelaterie con creme alla nocciola e vaniglia assolutamente veg e buonissimi. «Un altro dato significativo sono le cene a Natale o quelle per raccogliere fondi» dice Francesca Mandarini, 37 anni, avvocato iscritta alla Lav. Lega anti vivisezione. «Noi facciamo sempre il pienone, sotto le feste organizziamo incontri dove siamo minimo 130 persone. E ogni volta che chiamiamo a raccolta per un aperitivo veg anche per raccogliere fondi il numero minimo di persone è tra sessanta e settanta». Essere vegano però non è solo una regola da applicare sul cibo, è uno stile di vita, ci sono abiti veg, scarpe veg e veg-borse. Tutto deve rispettare la regola di non provenire da animali o dallo sfruttamento dei medesimi, deve essere biologico «ma veramente non ci interessa il marchio», e non essere prodotto da multinazionali. Difficile? Non sembra, abbiamo raccolto un po’ di informazioni e la vita veg a Torino pare facile. 

GRUPPI DI ACQUISTO 

Tofu, seitan, scarpe, borse, pane. Tutto si può acquistare insieme per risparmiare. Francesca Mandarini, 37 anni, avvocato fa parte di «Gatto Apu» e di «Le pecore nere» i due grandi gruppi di acquisto non solo di alimenti vegani, ma di scarpe, borse, abiti. Gatto Apu è operativo di 15 anni, il nome deriva dall’acronimo di Gruppo di acquisto Torino e Apu un personaggio dei cartoni animati Usa, ovviamente vegano. Cosa acquistano? «Dal fresco al seitan al tofu, alla pasta, agli abiti. Andiamo a trovare il produttore che non deve avere niente di origine animale, possibilmente a km zero, o comunque deve essere un produttore locale. Viene poi “premiato” chi utilizza imballaggio che non crea troppo rifiuto, o coloro che seguono progetti di volontariato». Viene compilata una griglia dove si inseriscono i dati dell’azienda, e se rispetta parametri «vegani» viene inserita tra i fornitori. Per esempio la pasta viene acquistata a Giaveno da Castagno, il pane dall’agriforneria di Rocco Primavera a Cuorgnè. «Abbiamo poi una mailing list e un calendario mensile dove segniamo nominativi e acquisti da fare». Ma i Gas vegani si occupano anche di corsi per autoproduzione: per fare tofu, sapone. Naturalmente, i Gas hanno un conto in una banca etica. 

RISTORANTI 

«Carpaccio di barbabietola su insalatina di cavolo rosso e finocchi con mayo raw alla spirulina e raw crackers ai semi di lino. 100% raw». È uno dei post sulla pagina facebook di Soul Kitchen vegan & raw food. Apertura recente nel panorama torinese e già un punto di riferimento per i vegani che possono spendere qualcosa di più. Qui c’è l’alta cucina vegana, quella per intenderci che fa riferimento a Simone Salvini, lo chef vegano preferito da Umberto Veronesi. Oltre ai piatti vegani in via Santa Giulia si trova il cibo «raw» cioè crudo. Per tasche più leggere ci sono locali-veg come «Il gusto di camilla» per aperitivi, e «take away» di ogni genere, ma veg. E poi ancora «Mezzaluna veg»ristorante e bar, vegetariano e vegano in città, che compie vent’anni l’anno prossimo: tra i primi a servire piatti per amanti degli animali vivi. Qui oltre al ristorante - ma capita anche per altri locali del genere - si può trovare una gastronomia e un bio bar. E poi ancora «Veg&veg» in largo Montebello, anche in questo caso oltre al ristorante la gastronomia e la possibilità di prenotare catering. Quasi tutti i ristoranti vegani comunque fanno anche servizi «accessori» come gastronomia e catering proprio per la particolarità del cibo. 

DOLCI 

«Gelato amico» non utilizza zucchero, lattosio, uova, glutine. La gelateria è in via San Massimo a Torino, ed è forse l’unica con caratteristiche vegane strettissime. Il gelato ha un bassissimo contenuto di grassi, poche calorie (circa un terzo rispetto ai gelati tradizionali) ed è ottenuto solo da prodotti biologici e naturali. È comunque un prodotto «artigianale, mantecato fresco ogni giorno per garantire il massimo del gusto e deliziare il palato di ogni goloso». Con la pasticceria «Ratatouille» sono le due realtà più nuove in città che offrono i prodotti «tradizionali» con ricette vegane. «Ratatouille», in corso Tortona ha aperto a luglio e «abbiamo voluto che non sembrasse una pasticceria vegana, noi lo siamo, ma volevamo dimostrare che i nostri prodotti sono buoni come gli altri, ma più salutari». Silvia Voltolini e altri tre soci sono da sempre vegani avevano gastronomie vegane, hanno deciso di mettersi insieme e creare un punto di incontro un «bio market» dice dove trovare un po’ di tutto ma di certo gli chantilly senza latte o il pesce vegetale sono quasi una novità assoluta per Torino. 

GASTRONOMIE 

«Sale in zucca», «O mio bio», «Naturalmente veg» «Universo vegano», «Bontà e sapore»l’ultima nata e «very cheap», anche perchè è in quartiere «popular» (via Candia) come dicono Liela Dobelian e Emanuela Grandi, lo chef e l’addetta alla vendita. Leila è brasiliana mangia vegano da quando si è ammalata di cancro al seno, «ho dovuto e voluto dopo l’operazione scegliere per la mia salute. Perché mangiare vegano abbassa la percentuale di recidiva nel cancro al seno. E lo dicono i dottori». Così a più di 50 anni ha deciso e ha aperto «Bontà e sapore» in Barriera di Milano. Clientela? «Si ne abbiamo molta, qualcuno viene qui a mangiare a pranzo, i nostri prezzi sono abbordabili. Ma abbiamo clienti anche delle aziende qui vicino e stiamo già organizzando catering». «Fino a qualche anno fa - racconta Emanuela - sarebbe stato impensabile aprire una gastronomia simile lontana dal centro, adesso vegani siamo in tanti, per diversi motivi per il rispetto degli animali o anche per la salute. E così anche una gastronomia piccola come la nostra ha tanti clienti». 

di Antonella Mariotti
fonte: La Stampa

FRODI ALIMENTARI: SEQUESTRATI FALSI PRODOTTI BIOLOGICI

La Guardia di Finanza di Verona ha sequestrato fabbricati e terreni per un valore di oltre 2,7 milioni di euro all'amministratore di una società per azioni di Casaleone (Verona). Il sequestro, disposto dal Gip Paolo Scotto di Luzio su richiesta del pubblico ministero Maria Batrice Zanotti, è l'ennesimo sviluppo dell'operazione «Gatto con gli stivali», avviata nel dicembre 2011 quando, con l'arresto di sette persone, venne alla luce un gigantesco sistema di frode nella commercializzazione di falsi prodotti biologici.


Le ulteriori indagini delle Fiamme gialle scaligere hanno accertato, da parte della Spa di Casaleone, l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per 9,5 milioni di euro, una frode all'Iva per 383mila euro e imposte evase per 2,3 milioni. L'amministratore è stato denunciato per associazione a delinquere, frode in commercio, false attestazioni. I beni sequestrati sono due fabbricati a uso industriale e commerciale e un magazzino a Casaleone e 23 terreni a Casaleone e Cerea per 4 ettari. Il comandante provinciale della Guardia di Finanza, col. Bruno Biagi, ha ribadito che «le indagini continuano perchè questa frode nel biologico ha ramificazioni in tutta Europa». Finora sono state sequestrate 800 tonnellate di falsi prodotti bio. (Ansa)

AIUTIAMO I BAMBINI A MASTICARE LENTAMENTE

Questa maledetta fretta e l’abitudine del “mordi e fuggi”, trasferita ormai anche all’alimentazione, ci portano a ingoiare il cibo invece di masticarlo. Complici anche i tanti prodotti alimentari di cui la pubblicità decanta la sofficità che, una volta messi in bocca, scivolano difilato giù nello stomaco.


Eppure l’umanità ha vissuto per millenni secondo il dettato che “la prima digestione avviene in bocca”. La masticazione fa anche venir fuori le qualità del cibo (consistenza, fragranza, sapore) che, valutate con i sensi, generano in noi piacere o disgusto. Grazie a essa, mangiare diventa un atto consapevole e l’esperienza sensoriale rimane impressa nella memoria. Insomma, masticare è una sorta di esercizio di apprendimento.

Ma c’è di più. La ricerca sta dimostrando che la masticazione aumenta anche l’ossigenazione del cervello e attiva certi circuiti cerebrali. Questi processi potrebbero migliorare la memoria, la concentrazione e le altre capacità cognitive. E chi teme o patisce l’obesità, può essere interessato a sapere che mangiare lentamente (com’è obbligato a fare chi deve masticare) dà un maggiore senso di sazietà e riduce il carico di calorie assunte con il cibo.
Disturbi dell’infanzia e masticazione

Alla luce di queste acquisizioni scientifiche, una domanda è d’obbligo: il fatto che i nostri ragazzi tendano ormai a non masticare il cibo come dovrebbero potrebbe essere messo in relazione con il dilagare di disturbi come l’obesità, l’iperattività, la difficoltà di apprendimento e l’aggressività? Come sapete, per tali disturbi è già sotto giudizio il consumo di alimenti contenenti troppo zucchero e sostanze potenzialmente nocive come additivi e residui di pesticidi.

Si sa, è per troppo amore o per compensare carenze affettive che si è portati a coccolare i pargoli tanto da rischiare di viziarli. Non vogliono mangiare la verdura perché si rifiutano di masticarla? E allora la verdura si frulla, così se la possono bere. Mangiano lentamente e noi andiamo di fretta perché gli impegni di lavoro ci pressano? E allora promettiamo loro un bel regalo se battono il record mondiale di velocità nel terminare il pasto. E poi, oltre agli alimenti soffici-soffici industriali, ci sono tante pietanze preparate in casa proprio per non impegnare le mascelle più di tanto, come il riso brillato stracotto, i legumi passati, le carote bollite che diventano purea, le vellutate di verdura.

Gli alimenti che aiutano ad “allenarsi”

I ragazzi *devono* masticare il cibo per tutte le ragioni vere o in attesa di responso. Possiamo educarli a farlo dando loro innanzitutto del buon pane fatto con farina semintegrale (tipo 2 o tipo 1) e lievitato con lievito madre (un vero capolavoro della natura, per la giusta consistenza, la digeribilità del glutine e la lunga durata di conservazione). Poi ci sono i legumi con tutta la buccia, il riso semintegrale o integrale, la frutta secca oleaginosa, tra cui spicca la noce, rara fonte vegetale dei preziosi omega-3, leinsalate come madre natura le fa, semmai tagliuzzate per bene e addolcite con fettine di mele o di uva passa, se al pargolo il dolce piace. E la frutta, se è bio, non va pelata, basta sciacquarla per bene perché la buccia, oltre che contenere sostanze salutari, ha le fibre giuste per indurre alla masticazione.

Le stesse raccomandazioni valgono ovviamente anche per gli adulti che sono soliti trangugiare il cibo per voracità. Gli esperti pensano che masticare aiuti ad evitare acciacchi mentali senili.

Un passaggio graduale

Ovviamente non dobbiamo passare di punto in bianco dagli alimenti mollicci e raffinati e a quelli consistenti e integrali. Altrimenti, i ragazzi, oltre a rifiutare immediatamente l’impegno masticatorio che sono chiamati ad assolvere, potrebbero anche lamentarsi di gonfiori e dolori di pancia. Il motivo è semplice: la nostra flora intestinale, cui spetta il compito di digerire le fibre, diventa pigra quando consumiamo cibo raffinato. Ha quindi bisogno di un po’ di tempo per abituarsi a svolgere questa funzione. Perciò si inizi con alimenti che hanno un moderato contenuto di fibre, come i cereali semintegrali, le lenticchie e i piselli (sono i legumi più tollerati), la parte centrale dell’insalata, dei carciofi e dei finocchi che è fatta di foglie giovani e quindi tenere. Poi piano piano si può passare agli alimenti integrali. Chiaramente quanto detto finora non vale nei casi in cui il rifiuto di masticare il cibo abbia motivazioni psicologiche, che vanno indagate con l’aiuto di uno specialista.

COLTIVARE LE TERRE ABBANDONATE

La proposta di Marco Tacconi è semplice, ci sono tantissimi terreni agricoli incolti e abbandonati, perchè non sollecitare i proprietari che sono interessati a metterli a disposizione? Questi terreni potrebbero essere gestiti e utilizzati da qualsiasi persona o gruppo che voglia mantenerli produttivi. L’idea fondante è creare una rete di protezione verso aree degradate per arginare la perdita di terreni produttivi, ma anche l’incuria del proprio territorio, una delle cause principali di dissesti idrogeologici. Secondo i promotori del progetto non esistano terreni “improduttivi”. Ogni spazio privato e libero ha un valore che va oltre le valutazioni economiche. Ogni terreno merita protezione e cura. Il portale terraxchange.it cerca di trovare un coltivatore per ogni spazio agricolo disponibile. Marco Tacconi ha risposto ad alcune domande.


Come nasce terraxchange.it?

L’idea di nasce da un’esigenza personale dice Marco. Sono appassionato di agricoltura tanto che tutti i miei studi, scuole superiori e università, sono stati rivolti verso questo settore. Il mio sogno è coltivare il mio cibo. Purtroppo la mia famiglia non ha origini contadine e non ho avuto la possibilità di fare pratica. Tuttavia vedevo in giro moltissimi terreni abbandonati. E’ nata così l’idea di unire terreni abbandonati a persone che vogliono prendersene cura. Insomma questo portale l’ho pensato partendo da un bisogno che avevo. A questo si è aggiunta un forte aspetto sociale a cui tengo: Terraxchange potrà infatti essere utilizzato come punto di riferimento del mondo orticolo sociale. Nel sito stiamo aggiungendo un forum e una mappa satellitare in modo che si potrà contattare anche orti urbani già presenti e associazioni, creare eventi e censire gli orti privati presenti sul territorio. Non sarà solo un motore di ricerca ma una comunità coesa. Il sito è on line ma pensiamo di essere operativi per metà ottobre con la piattaforma definitiva.

Come avviene lo scambio tra coltivatori e proprietari?

Il sistema è semplice da spiegare. Il proprietario di un terreno incolto, improduttivo e con poco valore commerciale potrà metterlo a disposizione in modo automatico attraverso l’utilizzo del portale. In tempo reale tutti i cittadini interessato potranno vederlo direttamente attraverso una mappa satellitare o ricercarlo con l’uso dei filtri di ricerca. Noi forniamo al possibile gestore la mail del proprietario in modo che si mettano d’accordo. Nessuna delle due parti è vincolata o vincolante. Il proprietario può continuare a ricercare un acquirente vero. Allo stesso tempo il gestore, se si accorge di non voler più gestire il terreno, potrà lasciarlo senza alcun problema. Noi forniremo a tutti dei prestampati contrattuali che i nostri utenti potranno utilizzare per regolarizzare il rapporto. Il pagamento è in natura. Si paga l’uso del terreno attraverso gli ortaggi prodotti o, nel caso di impossibilità, il loro valore. I terreni sono geolocalizzati con le coordinate. Per cui Terraxchange potrà essere utilizzato in tutto il mondo già da subito.

Con la crisi il problema delle area agricole abbandonate sembra esser tornato all’attenzione della collettività, ne è prova il fiorire di orti urbani e non e l’occupazione delle terre da parte di giovani in agricoltura. Cosa pensi di questo cambiamento?

Credo che la famigerata crisi sia frutto dello scollamento totale dei cittadini con la realtà produttiva. La società non riconosce più l’agricoltura come risorsa fondamentale. L’economia basata su indici, percentuali, categorie e tassi non può dare soluzioni. La richiesta di lavori o passatempi più legati con attività reali è ciò che sta spingendo migliaia di persone a riavvicinarsi alla terra. La volontà di staccare con il monotono lavoro di ufficio per dedicarsi all’agricoltura è sintomo di una serie di momenti stressanti e insoddisfacenti che il lavoratore medio cittadino non è più in grado di sostenere. L’agricoltura è un mondo fisico, spesso duro, ma la grande soddisfazione nel vedere i frutti del proprio lavoro copre qualsiasi fatica provata. L’orto è una passione dilagante perchè permette di vedere i frutti del lavoro svolto. Dal seme al piatto. Sempre meno lavori cittadini permettono di mostrare l’intera filiera. Un operaio, una segretaria, un dirigente vedono solo un tratto limitato della catena produttiva. Un orticoltore, anche casalingo e improvvisato, vive ogni momento. C’è da non sottovalutare tutto l’aspetto “eco” che sta prendendo sempre più piede nelle masse: produrre il proprio cibo era, fino a poco tempo fa, un semplice hobby da pensionato. Ora sta divenendo un bisogno sentito da ogni classe d’età, di sesso e di estrazione sociale.

Come sostenete il vostro progetto?

Il progetto è sostenuto da un i iniziale investimento personale di tempo e denaro. Una volta operativo si auto-sosterrà attraverso e-commerce di prodotti per l’orto e oggettistica per esterni. Chiederemo un contributo se si vorrà pubblicare più annunci o se si vorrà mettere in vetrina qualche terreno. Sarà presente anche la possibilità di donare. In questo modo potremo utilizzare i proventi per organizzare eventi orticoli.



Chi sta lavorando su questo progetto?


I miei familiari, alcuni professionisti esterni ed amici. In realtà pensiamo a una gestione semplificata. Per iniziare è il modo più economico e facile. Nel caso prenda piede e trovassi dei collaboratori si potrà pensare a trasformare questo gruppo informale in associazione, cooperativa o altro.

fonte: Comune.info

GLI ORTI SPUNTANO PURE NELLE AZIENDE

Gli orti urbani hanno ormai superato la fase di semplice moda se, secondo i dati della Coldiretti, circa 21 milioni di italiani che stabilmente o occasionalmente coltivano l’orto o curano il giardino. Corollario di questa passione è la diffusione di questa attività anche nei luoghi di lavoro. C’è chi si porta la gavetta da casa, chi esce a mangiare un panino, chi va in palestra.

E poi c’è chi in pausa pranzo va a curare l’orto, con la benedizione aziendale. L’ultimo orto realizzato è sulla terrazza al primo piano del teatro Franco Parenti, a Milano. Si affaccia sulla piscina Caimi ed è stato realizzato anche con materiali di scena riciclati. L’idea è che possa essere il primo di una rete di orti in teatro che promuovano l’incontro sociale e la cura dell’ambiente. “Questa esperienza trova particolare interesse proprio nelle città, meno nei luoghi dove i dipendenti hanno già un proprio appezzamento”, racconta Angela Cavalca, socia fondatrice di Orti d’Azienda Onlus, forse l’unica associazione in Italia, nata circa un anno fa, che si occupa specificamente di lanciare orti aziendali.

Sono un gruppo di persone di diverse età ed esperienze che si sono poste l’obiettivo di diffondere la cultura dell’ambiente e della socializzazione attraverso la riqualificazione di aree marginali e territori post-industriali. Basta una terrazza, uno spazio inutilizzato e un po’ di buona volontà. “La valenza per le aziende è soprattutto creare gruppo, coesione. Col lavoro nell’orto si crea una socialità, uno spazio comune – spiega Cavalca -, in molte aziende ci sono spazi che possono essere utilizzati meglio. Noi li aiutiamo ad avviare il progetto, e nel caso li seguiamo successivamente”. Sullo sfondo il tema dell’Expo 2015, “Nutrire il pianeta”: “Le aziende possono avvicinarsi al tema e diffonderne la cultura anche se non si occupano di agroalimentare, creando piccole comunità locali socialmente utili, dove sperimentare la filiera corta e l’alimentazione corretta”.

La moda è nata, come spesso accade, negli Stati Uniti, dove diverse multinazionali, dalla Toyota, alla PepsiCo, alla Timberland, fino ai colossi tecnologici della Silicon Valley, hanno lanciato i “corporate gardens”: orti creati e curati dai dipendenti, spesso sulle terrazze dei palazzi che ospitano le aziende. A parte dare una patina “green” all’immagine delle società, e a mettere in evidenza la responsabilità sociale di impresa, l’orto è un’attività rilassante per i dipendenti, che abbattono le barriere della piramide aziendale, stringono amicizie, e si portano a casa i prodotti del proprio lavoro, con generale soddisfazione.

fonte: Affaritaliani.it

domenica 22 settembre 2013

TUTTE LE FREGATURE DEL SETTORE ALIMENTAZIONE - LA PANNA E IL TONNO

Guardate quei numerini rossi, ci avete mai fatto caso? Sapete cosa sono? 
La maggiorparte di voi non lo sá e ve lo dico io, 123456... sono i numeri di volte che la legge consente di riutilizzare il prodotto. 

Il prodotto che ho preso é della semplice panna con scadenza nel 2014 prodotta alla fine 2012 quindi 2 anni di vita. Poniamo un esempio che nel negozio in cui era in vendita non la venda, che fá, ci perde soldi? Certo che no la ridá indietro ed avrá in cambio una nuova, lo scopo di questo gesto? 

Il prodotto verrá ribollito e pastorizzato ed ecco che sotto la confezione mancherá il numero uno così la catena puó continuare fino al numero 6, cioé un prodotto puó anche avere ben 12/18 anni sembra impossibile ma é una veritá nascosta, quindi tutti a guardare sempre sotto le confezioni e se i numeri ci sono tutti il prodotto é nuovo altrimenti é stato riusato.



CHIARIMENTI:
Buon giorno, 
la presente per precisare che la mail a cui fa riferimento è assolutamente falsa. 
E' possibile che i contenitori del latte riportino dei numeri sul fondo del pacchetto. Il significato di questi numeri può variare a seconda della tipologia del prodotto e dell'azienda produttrice, ma in ogni caso sono impiegati per favorire o garantire la rintracciabilità del prodotto o dei contenitori utilizzati. 
Due esempi per meglio comprendere il fenomeno: 
- nel caso del latte fresco pastorizzato il numero stampigliato sul fondo si riferisce al dosatore della macchina di confezionamento (ogni macchina ha 4 dosatori, quindi è normale trovarne uno di questi). Se un consumatore dovesse segnalare un'anomalia, mediante questo numero si risale al dosatore utilizzato per riempire il pacchetto. Per quanto riguarda il numero delle pastorizzazioni la normativa in vigore è molto chiara: si può commercializzare solo latte fresco pastorizzato che abbia subito un unico trattamento termico, a partire dal latte crudo. 
- nel caso del latte UHT (a lunga conservazione), a cui la foto della mail si riferisce, il numero, se è presente (e non è scontato che lo sia) viene impresso dalla cartiera della Tetra Pak (azienda che fornisce i contenitori). 

Anche in questo caso è utile per garantire la rintracciabilità dei contenitori. Infatti il numero (da 1 a 5) si riferisce al taglio della bobina originaria (ogni bobina viene tagliata in 5 strisce). 

A completamento del secondo esempio le allego la spiegazione ufficiale di Tetra Pak 

Il link diretto é: 


Cordiali saluti 
dr. Denis Avanzi
Responsabile Qualità e R&S
Centrale del Latte di Torino & C SpA


Prendo atto...ma sicuri che il prodotto non venga ripasturizzato solo perchè lo dice la Legge ?

Io come al solito non vi credo neanche un pò... e voi ?







CONTROLLATE IL TONNO PIU' ECONOMICO CHE TROVATE NEI SUPERMERCATI, DOVE C'E' STAMPATO FAO 61 o 71 
E' TONNO PROVENIENTE DAL MAR DEL GIAPPONE DOVE E' STATA RIVERSATA L'ACQUA CONTAMINATA DI FUKUSHIMA.
Molti produttori fanno inscatolare il tonno in località NON SOSPETTE con etichette italiane o europee per NON far capire che il pescato proviene dal Giappone. Controllate sempre il NUMERO FAO.


CHIARIMENTI
L’allarme alimentare impazza da qualche giorno sui social network: le scatolette di tonno dei marchi più economici distribuiti in Italia conterrebbero pesce radioattivo proveniente dalla zona Fao 71, le acque antistanti il Giappone dove è stata riversata l’acqua contaminata dalla centrale nuclere di Fukushima, gravemente danneggiata dallo tsunami del 2011. A diffonderlo un post su Facebook, che mette in guardia i consumatori dai potenziali raggiri delle aziende, divenuto virale in poche ore con oltre 50.000 condivisioni. Una psicosi ingiustificata: si tratta in realtà di una notizia falsa, subito smentita da esperti di sicurezza alimentare e dalle stesse società finite nel mirino degli utenti della rete.
L’allarme su Facebook. Il primo post a lanciare l’allerta, che divulga l’informazione senza chiarirne la fonte, consiglia di controllare l’area marina di provenienza del tonno sul fondo delle confezioni (indicata con la numerazione Fao). L’utente che lo diffonde, invita poi a guardarsi dalle frodi dei produttori che farebbero inscatolare i loro prodotti "in località non sospette con etichette italiane o europee per non far capire che il pescato proviene dal Giappone". Allegando l’immagine di una confezione di tonno Coop con impressa la dicitura "Fao 71".
Le zone di pesca. Le acque di cattura del pesce sono contraddistinte dal una numerazione progressiva, stabilita dalla Fao, la quale ha "catalogato" i mari di tutto il pianeta. L’area oggetto di controlli in seguito alla fuga radioattiva di Fukushima è la n.61, nell’Oceano Pacifico di Nord Ovest, che va alla Siberia alla Cina, fino alla Corea. Qui le acque sono fredde perché possa sopravvivere il tonno a pinna gialla, venduto in Italia. Le scatolette di tonno presenti sugli scaffali della penisola, invece, arrivano in genere da aree distanti, come la 71 (Pacifico Occidentale Centrale, antistante Filippine, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Nord Australia), 4000 km più a Sud della zona dell’incidente nucleare. Oppure la 51 e 57, sempre nell’Oceano indiano.
La replica delle aziende. A smentire la notizia sono le aziende produttrici chiamate in causa. La Nostromo Spa ha subito diramato una nota con la quale informa di non aver mai operato nei mari nipponici, né prima né dopo la tragedia del 2011, precisando inoltre che la sola area marittima interessata da provvedimenti delle autorità sanitarie è la Fao 61, e non la 71. Dunque l’equivoco sarebbe stato generato da un banale errore numerico. La società sottolinea la provenienza dei propri tonni da filiere ittiche certificate e annuncia la propria intenzione di far causa all’autore del post lesivo della sua reputazione. "Ogni lotto del nostro pescato è accompagnato da una bolla con: zona e data di cattura, nome del peschereccio, tecniche di pesca utilizzate, autorizzazioni sanitarie. La materia prima è dunque sottoposta a rigide analisi". Gli fa eco la Coop, la più bersagliata dalle accuse su Facebook: "Non acquistiamo né abbiamo mai comprato tonno proveniente dalla zona FAO 61. Per i nostri prodotti utilizziamo il tonno a pinne gialle che non vive in quei mari per via delle temperature troppo basse. Tale specie viene pescata nelle calde acque tropicali degli oceani Indiano e Pacifico Occidentale Centrale, lontano migliaia di km dal Giappone". L’azienda si schermisce, poi, facendo notare che sulle confezioni del tonno con il proprio marchio sia sempre indicata sempre la specie e la zona di pesca. Dello stesso tenore la risposta di As do mar che, pur non coinvolta dall’allarme è intervenuta nel dibattito, rimarcando il rispetto delle norme in materia: "Utilizziamo solo tonno a pinne gialle pescato nelle calde acque tropicali degli oceani Indiano (zone FAO 51 e 57) e Pacifico Occidentale Centrale (zona FAO 71). La nostra produzione viene effettuata in conformità alle leggi europee e nazionali, secondo quanto previsto dal "Pacchetto igiene", che impone regole di sicurezza da adottare lungo tutta la filiera produttiva. Dal 2011 monitoriamo l’eventuale presenza di isotopi radioattivi attraverso misurazioni allo scarico dei tonni dell’oceano Pacifico".
Controlli rafforzati. E se i tonni pescati in zone sicure fossero arrivati dal mare contaminato dalla centrale nucleare? Alcune specie possono migrare per diversi chilometri in pochi mesi. Il rischio alimentare è escluso anche in caso di migrazioni, secondo Agostino Macrì, esperto di sicurezza alimentare dell’Unione nazionale consumatori: "Il tonno pinne gialle venduto in scatola nel nostro paese proviene solo dalla Fao 71. In ogni caso la contaminazione dovrebbe influire in modo minimo sulla sicurezza delle carni di tonno: occorrere infatti molto tempo per "trasferire" le piccole quantità di materiale radioattivo presenti nelle acque marine nei tessuti dei grandi predatori, come i tonni".
La dichiarazione di conformità. Anche Altroconsumo rassicura contro ogni pericolo: "L’indicazione della zona di pesca sulle scatolette di tonno non è obbligatoria: sarebbe assurdo che un produttore di tonno inquinato, si affrettasse però a indicare volontariamente la provenienza sospetta - commenta l’associazione dei consumatori -. È vero che i prodotti della pesca rientrano tra gli alimenti importati in Europa e in Italia dal Giappone. Tuttavia, al momento dell’incidente nucleare di Fukushima, l’Europa ha rafforzato i controlli e ha imposto l’obbligo di accompagnare ogni partita di alimenti e mangimi in arrivo dallo stato nipponico con una dichiarazione di conformità, corredata da certificati di analisi nel caso in cui gli alimenti provengano dalle zone incriminate. A oggi non risulta nessun caso di prodotto non conforme ai controlli. Non c’è dunque ragione di temere il consumo di prodotti ittici provenienti dalla zona FAO di pesca 61". 

Prendo atto ma personalmente considero i chiarimenti puerili e privi di logica... la radioattività per certo sarà a livelli stratosferici e per certo si è allargata anche all'area 71 confinante.
Senza contare 50 anni di esperimenti nucleari in tutto il Pacifico.
Non credo più da tempo alle menzogne dell'informazione massmediale del "Sistema"... e voi ?

sabato 21 settembre 2013

LE QUALITA' DEL FIENO GRECO

I suoi semi ricchi di minerali, vitamine e amminoacidi sono ottimi ricostituenti contro la stanchezza e alzano le difese contro le “avvisaglie” d’autunno


Il fieno greco è una pianta che cresce spontanea in ambienti costieri e submontani ed è originaria dell'Asia occidentale. I costituenti del fieno greco si trovano nei semi, che hanno un elevato valore nutritivo e contengono glucidi, protidi, fosfatidilcolina e lecitina ma anche calcio, magnesio, fosforo, ferro, potassio, zolfo, sodio, cloruro, silice e vitamine del complesso B, vitamina A e C. I semi di fieno greco, reperibili in erboristeria, hanno spiccate proprietà ricostituenti e antianemiche. Tali proprietà lo rendono un buon coadiuvante nei periodi di stress, che proprio a settembre diventa più intenso.

I suoi semi abbassano la glicemia

È stato inoltre dimostrato che i semi del fieno greco hanno la capacità di abbassare la glicemia, modulando l’assorbimento degli zuccheri nell’uomo sia sano che diabetico. Per la presenza di alcuni fattori (vitamina D, calcio, vitamina P), è interessante l’uso di fieno greco in alcune osteopatie, ad esempio nell’osteoporosi, o per aiutare il consolidamento delle fratture. È controindicato in gravidanza perché può provocare contrazioni uterine, mentre è consigliato dopo il parto, perché favorisce la montata lattea.

Come sfruttare i benefici del fieno greco

- Grazie alla presenza di lecitina e colina, una tisana al giorno con un cucchiaino di semi di fieno greco protegge il fegato e rinforza le difese.

- Per depurare il sangue, è utile per tutto settembre bere 30 gocce di tintura madre di fieno greco la mattina in un po’ d’acqua.

- Per evitare riniti e sinusiti da cambio di stagione, basta assumere una capsula di estratto secco di fieno greco al giorno per un mese.

Riduce il colesterolo

I semi del fieno greco, assunti in tisana una volta al giorno, possiedono anche un’azione ipocolesterolemizzante: agendo favorevolmente sul metabolismo lipidico, regolano la concentrazione del colesterolo nel sangue e limitano l’assorbimento dei grassi ingeriti col cibo.

COME DARSI LA ZAPPA SUI PIEDI

Leggo distrattamente il giornale in questi giorni di ferie e mi imbatto in un articolo sui problemi dell’agricoltura.


“La crisi che morde il settore costringerà i produttori di pesche e nettarine, [ ... ] a ritirare dal mercato ingenti quantitativi di frutta destinati ad essere distrutti ad uso energetico o compostaggio”.

Pazzesco: stanno parlando alcune organizzazioni dei produttori dell’Emilia-Romagna: "I disastrosi risultati commerciali della campagna – viene osservato – rendono la situazione ormai insostenibile per i produttori che da tre, quattro anni vedono i loro redditi annullarsi a causa dei bassi prezzi praticati e dalla riduzione dei consumi“ ed è ovvio in una situazione di mercato in cui il prezzo viene stabilito dalla speculazione borsistica e non dall’incontro tra domanda e offerta, locali s’intende.

Prosegue l’articolo: “costringerà gli agricoltori a drastici ridimensionamenti degli impianti, con il grave rischio di fare aumentare in futuro le importazioni” di pesche.

E ancora: “ricorreranno ai ritiri dal mercato di importanti quantitativi di prodotto che verrà inviato principalmente alla produzione di energia o al compostaggio”.

Pur essendo addolorati e consapevoli che la distruzione del prodotto non è la soluzione (allora perchè farlo?) sostengono che ”è l’unico modo per non vedere i prezzi alla produzione abbassarsi ulteriormente“.

Dunque mi chiedo se si tratti di vero masochismo.

E la forbice dei prezzi si sta allargando, questo è dovuto a due fattori principali:

1. il prezzo al produttore è determinato da una speculazione borsistica che riesce a penalizzare il settore intero massimizzando il profitto per gli operatori finanziari

2. le vendite vanno a rilento in quanto stiamo vivendo una crisi generalizzata che colpisce anche il consumo (o capacità di spesa o reddito) che solo ora inizia a far scorgere la promessa di conseguenze ancora più nefaste; il consumo di pesche crolla perchè la capacità di acquisto delle famiglie si è drasticamente ridotta.

Quale soluzione viene proposta in questo articolo? Di sostenere il reddito dei produttori aumentando il prezzo al consumatore finale. Come fare tutto ciò? Ritirando prodotto dal mercato e rendendolo scarso. Destinando il surplus di pesche ritirato ad inceneritori e grandi pattumiere (impianti di compostaggio).

L’inutilità e il danno di questa mossa si manifestano in due fatti:

Il primo è il più lampante: produrre per buttare via, per bruciare, per marcire. Non mi vengano a opporre che si produrrà energia elettrica (solo in parte) perchè sarebbe stato più semplice evitare di sprecare energia per produrre (le pesche) che non recuperarne una minima parte bruciando e marcendo.

Il secondo è un uovo di Colombo. Se i consumatori non posso permettersi aggravi di spesa, un aumento del prezzo della pesca non potrà che produrre semplice invenduto, che verrà prontamente scaricato dai nostri “amici” speculatori della Borsa agricola sui produttori di pesche nettarine. Significa prepararsi il proprio funerale. Rarefacendo le pesche si mantiene il prezzo alto ma non sta scritto da nessuna parte che i consumatori le compereranno al prezzo imposto più alto; al contrario mi pare ovvio che in un momento di crisi come questo un prezzo alto porti semplicemente a non vendere (e a buttare via: pattumiera, inceneritore ecc …)

Ciò innesca un circolo vizioso che termina solo quando non verranno più coltivate pesche, i produttori avranno perso competenze, investimenti e redditi, i consumatori faranno la voglia di nettarine ma soprattutto gli speculatori avranno massimizzato i loro profitti in rapidissimo tempo giocando sull’allargamento della forbice dei prezzi.

Cosa si dovrebbe fare allora?

Semplice. Uscire dal meccanismo.

Basterebbe organizzare una filiera corta in cui non solo un soggetto neutro terzo si occupa di tutto quanto attiene alla parte commerciale (così il produttore può dedicarsi al suo mestiere, all’agricoltura), ma si occupa anche della lavorazione del bene primario e della sua trasformazione in prodotto complesso (le marmellate? i succhi? le pesche sciroppate? le crostate? ecc …). I margini di rientro (delle marmellate per intenderci) vengono redistribuiti a tutti i soggetti che hanno partecipato alla filiera, produttori compresi. I costi saranno minimi perchè la struttura terza non persegue il profitto da speculazione (solo un normale utile di gestione) e perchè risulta come unico soggetto di passaggio intermedio tra il produttore e il consumatore; perchè la logistica è razionalizzata e ottimizzata e perchè i consumi energetici sono notevolmente abbattuti. 

I rientri ai produttori non sono concentrati in un unico periodo dell’anno in quanto la vendita del prodotto lavorato e semilavorato riguarda tutto l’arco dell’anno (la marmellata si mangia anche in inverno, le crostate pure): in questo modo si genereranno dei flussi reddituali costanti che permetteranno agli agricoltori di ridurre l’esposizione debitoria nei confronti del sistema bancario.

Questo modello non solo non innesca il circolo vizioso che i produttori di pesche nettarine stanno tristemente avviando, ma riesce a far uscire gli agricoltori dal meccanismo speculativo generando una equa redistribuzione del reddito tra produttori e consumatori, sottraendolo alla finanza speculativa.

I maggiori redditi dei produttori agricoli possono essere in parte reinvestiti per attivare un circuito virtuoso di coltivazioni realmente biologiche, a basso impatto energetico e di reale qualità nutrizionale.

In un modello di questo genere vincono i consumatori e vincono gli agricoltori.

Possibile che sia così difficile metterlo in pratica?

di Lisa Bortolotti

ECCO COS'E' L'ALIMENTAZIONE NATURALE

L’Uomo non ha trovato sulla Terra il suo cibo perfetto, tipico. Quindi, in senso biologico, il suo cibo "naturale" non esiste.

Per sopravvivere, ha dovuto scegliere ogni giorno per millenni che cosa mangiare, per prove ed errori, districandosi tra vegetali indigesti, antinutritivi, tossici, perfino cancerogeni. Le piante, infatti, non sono state "create per fare da cibo all’Uomo", tant’è vero che sintetizzano migliaia di veleni per difendersi dai raggi solari e dai predatori, Uomo compreso.
Altro che "piante amiche". Ancor più degli animali "feroci", le piante hanno selezionato la specie umana in modo severo, come ha detto l’oncologo Della Porta. Ancor oggi gli epidemiologi, da Peto e Doll in giù, attribuiscono al cibo almeno il 30-50 per cento di tutte le morti per tumori.
E’ un fatto, comunque, che nella Storia hanno sempre prevalso le civiltà in cui si mangiava meglio, perché l’Uomo aveva avuto l’intelligenza o la fortuna di insediarsi nei territori più fertili, praticando una dieta nutrizionalmente più completa e tossicologicamente meno rischiosa.L’alimentazione naturale, perciò, non vuol dire che "deriva dalla Natura", come ho specificato già nella prima edizione del libroL’Alimentazione Naturale (1980), che per la prima volta riportava nel titolo questa espressione simbolica che poi avrebbe avuto fortuna. Tutto, infatti, deriva dalla Natura.Significa invece che è la più "naturale per l’Uomo", la più adatta alla specie, nel senso che si è dimostrata nel tempo, cioè nei millenni, la meno dannosa o la più protettiva, e perciò è la più sana.
Ma che sia più adatta all'Uomo non lo deve decidere una filosofia o una religione, bensì la storia naturale dell'Uomo, cioè la sua evoluzione, la sua antropologia. Dunque, vista in termini reali e scientifici, l'alimentazione naturale è il regime alimentare di lungo periodo che l’Uomo, pur con differenze tra popolo e popolo, ha selezionato per sé come il migliore.Anche se molte di quelle scelte sono state obbligate (clima, scarsità, carestie, ignoranza ecc). Dunque, ha un significato relativo, antropologico e storico. Ma ora, grazie alle moderne scienze biologiche che stanno avvalorando con migliaia di "prove" (studi) quelle scelte dell'Uomo, ha anche un significato nutrizionale, tossicologico e preventivo.Così, l’antico e il moderno si ritrovano. La Tradizione e la Scienzasperimentale si sorreggono.
Il cibo, insomma, è la più grande opera dell’Uomo. Il cavolo selvatico,Brassica sylvestris, è una insignificante piantina legnosa dalle foglioline immangiabili. La mela selvatica è piccola, dura, aspra, ricca di sostanze tossiche e indigesta. I broccoli, le zucchine, il grano, i legumi, i frutti, e anche i cibi animali, così come noi li abbiamo sempre mangiati, non esistono in Natura. Migliaia di anni fa, li abbiamo selezionati, migliorati, incrociati, geneticamente modificati, ingrossati, ingentiliti, dolcificati, resi finalmente mangiabili, a partire da vegetali molto diversi da quelli attuali. Sono in realtà una creazione umana. Furono i grandi agronomi etruschi, per esempio, a creare con la selezione genetica il cavolo-broccolo. In Italia, altro esempio, l'ultimo prodotto dell'ingegneria genetica è il piccolo "pomodoro di Pachino", creato pochi anni fa, che tutti già ora considerano "tipico", addirittura "tradizionale". Solo le fragole di bosco e forse le more di rovo sono rimaste le stesse. Come gli animali selvatici e gran parte dei pesci.
Per i cibi animali, infatti, si pongono problemi analoghi: la carne del gigantesco e aggressivo bue antico, Bos primigenius, ammesso che si fosse riusciti a catturarlo, era fibrosa e immangiabile. Perfino in epoca storica nell’antica Roma la carne del piccolo bovino allevato per il lavoro, il domestico Bos taurus (quello "da carne" praticamente non esisteva), era così tigliosa che neanche i servi la volevano, e bisognava prima bollirla e poi arrostirla. Solo i pesci non di allevamento si sono mantenuti più o meno uguali, a parte le specie artificialmente introdotte dall'Uomo.
L’intera alimentazione, insomma, è la più alta invenzione antropologica, frutto dell’intelligenza agronomica e degli allevamenti degli Antichi. E’ paradossale che l'alimentazione naturale sia costituita in realtà da tutti alimenti "artificiali". Da quando esiste l'agricoltura.L’Uomo, quindi, sapientemente ha tratto dalla Natura, con l’intuito, lo spirito d’osservazione e l’agricoltura degli Antichi, e ora con l’avallo della moderna Scienza sperimentale, un regime alimentare che ha permesso la propria vita e le grandi Civiltà. Grazie al cibo che la Natura non ci dava, oppure offriva in minime quantità e per brevissimi periodi dell’anno, ma che l’Uomo ha trovato, modificato, moltiplicato e reso disponibile per tutti e per tutto l’anno, abbiamo fatto figli, creato le famiglie, le tribù, la società, le città, gli Stati, il Colosseo, il diritto romano, le piramidi, le cattedrali gotiche, la Scienza, la Musica, la Cultura, la Storia.
Altro che le erbe e le bacche spontanee dei boschi che durano lo spazio di qualche giorno. Se fossimo rimasti a quelle saremmo ancora poche migliaia su tutta la Terra, rozzi, poco intelligenti e ignoranti, e penseremmo tutto il giorno, tutta la nostra vita, soltanto a cercare il cibo. Non avremmo società, scrittura, cultura.
"Naturale", dunque, è il cibo che si è dimostrato nei millenni più naturale per l’Uomo, più adatto alla sua vita, al suo sviluppo e alla sua intelligenza, in questo senso più sano. Perciò è cibo "elettivo", che l’Uomo ha scelto (dal latino eligere = scegliere). "Sano e naturale", grazie al fatto – come sappiamo oggi – che nel lungo periodo il bilancio tra sostanze protettive e sostanze dannose presenti negli alimenti, ha necessariamente visto prevalere le prime. Altrimenti saremmo tutti scomparsi.E come deve essere, com'è, questo cibo "naturale" per l'Uomo? La Scienza biologica e la medicina hanno dimostrato, negli ultimi 30 anni, che gli Antichi avevano ragione: il cibo più sano, perché più ricco, è quello più completo, più integro, più semplice, il meno trasformato, il meno raffinato, il più vicino alle forme originarie, il più igienico, ed anche il più vario. Ebbene, questo cibo così selezionato, pur con i veleni e gli antinutrienti che contiene (molti dei quali – ecco la rivincita dell’intelligenza dell’Uomo – dotati di proprietà preventive e terapeutiche, come ha scoperto la medicina), è il più naturale per l’Uomo. Perché il cibo migliore è quello che cura (oggi si dice "riduce i rischi"). Proprio come aveva intuito Ippocrate, fondatore della medicina scientifica.

I BENEFICI DELL'OLIO DI CANAPA

Le cause per cui si esplicita una malattia cardiovascolare sono molteplici e non tutte ancora ben chiare. I principali fattori di rischio attualmente conosciuti consistono: alti livelli ematici di colesterolo non HDL (VLDL,IDL,LDL), basse livelli di HDL (colesterolo buono), aumento dei valori dei trigliceridi, ipertensione e sovrappeso. Il possibile precoce sviluppo dell’ aterosclerosi può provocare eventi cardiaci, trombosi ed ictus cerebrali, mentre l’ipertensione ed il sovrappeso aumentano l’incidenza del diabete di tipo 2, che complica il quadro principale comportando l’incremento d’incidenza delle malattie cardiovascolari. Si sospetta che possano esserci anche altre cause, in particolare di natura infettiva e la sclerosi (indurimento) della parete arteriosa che compare con l’avanzare dell'età.


Questi termini ormai sono diventati di uso quotidiano, visto che nell’arco della vita di quasi il 60 percento della popolazione, si manifestano sintomi di malattie cardiovascolari. L’aterosclerosi è considerata una malattia infiammatoria cronica che ha origine dall’infiammazione delle parete interna (intima) dei vasi sanguigni; tale processo può creare le placche contenenti colesterolo, e insieme all’aggregazione piastrinica può quindi provocare l’ostruzione dei vasi - in particolar modo delle arterie coronarie che portano il sangue (e quindi l’ossigeno) al muscolo cardiaco (l’occlusione delle arterie coronarie è la prima causa di infarto cardiaco).
La terapia farmacologia attualmente offerta dalla medicina moderna consiste nell’uso di farmaci che abbassano i livelli ematici del colesterolo (statine), altri che diminuiscono la pressione sanguigna (Calcio-antagonisti e nitrati) e altri che sono farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS), come l’aspirina, che diminuiscono l’aggregazione piastrinica; di solito per protocollo si prescrivono tutti gli agenti farmacologici in dosi diverse (a secondo del quadro clinico) per combattere i principali fattori di rischio.
Il problema della terapia con questi farmaci sintetici è dato dagli effetti collaterali, abbastanza significativi e talora gravi: problemi della funzionalità epatica, miopatie (la cerivastatina è stata ritirata dal commercio nel 2001 proprio per questo), rallentamento del battito cardiaco e senso di affaticamento, problemi a livello gastrico, e molti altri ancora (leggere il foglio illustrativo per ogni farmaco). 

Quindi, le soluzioni adottate dalla medicina moderna consistono nell’utilizzo di composti sintetici che inibiscono le attività enzimatiche o bloccano i recettori specifici, situazione in cui l’organismo cerca di superare gli ostacoli sintetici attraverso l’attivazione di vie metaboliche alternative, fatto che spiega l’aumento costante delle dosi dei farmaci nel tempo. Da studi più recenti su esseri umani e su modelli animali, è risultato che la somministrazione dell’olio di semi di canapa: 
· Abbassa i livelli ematici di colesterolo non HDL.³-4
· Abbassa i livelli ematici dei trigliceridi.³-4
· Diminuisce il grado di aggregazione piastrinica.6
· E cardioprotettiva dopo un danno al miocardio.4 

L’olio di canapa contiene1,7 componenti attivi come gli acidi grassi essenziali omega-3 e 6 che sono costituenti importanti ed essenziali delle membrane delle cellule che rivestono le pareti dei vasi sanguigni ed hanno il ruolo di mantenere la corretta funzionalità cellulare.
Il rapporto e la forma chimica di tali acidi grassi essenziali, permette all’organismo di metabolizzarli in composti piu attivi, per usarli come mediatori o ligandi specifici solo quando richiesto dall’omeostasi (equilibrio) senza però ostacolare o bloccare le vie metaboliche; oltre al fatto che l’olio di canapa contiene la vitamina E, i fitosteroli, il canabidiolo (CBD: canabinoide non psicoattivo), mircelene, clorofilla e molti altri composti naturali che funzionano in sinergia, aumentando gli effetti benefici. 
Con l’uso quotidiano di olio di canapa possiamo prevenire in buon parte la progressione di aterosclerosi agendo direttamente sui fattori di rischio, mantenendo piu elastiche le pareti dei vasi senza avere gli effetti collaterali, se invece è già in atto la terapia con farmaci l’olio di canapa puo dare ulteriore miglioramento del quadro clinico, sempre consultando il medico curante. Gli studi menzionati sopra sono a favore di tale concezione e siamo certi che in futuro studi simili e piu ampi confermeranno gli effetti benefici dell’olio di canapa sia nelle malattie cardiovascolari sia in altre patologie.

Jonas Elia*, Dany Belotherkovsky**
*dott. Jonas Elia, medico chirurgo specialista in pediatria e neuropsichiatria infantile.
** Belotherkovsky Dany, diplomato in Reflessologia, con formazione in Medicina Omeopatica attualmente inserito nel corso di laurea in Medicina e Chirurgia a Roma. 
Indirizzo e-mail per la corrispondenza: www.bdanik3@gmail.com , web: www.modin.org

venerdì 13 settembre 2013

GRUPPO DI ACQUISTO ENERGETICO PER LUCE, METANO, GPL

SE INTERESSATI A COLLABORARE E/O LAVORARE IN MERITO A QUESTA INIZIATIVA
SCRIVERE A : presidente@gruppoecoland.org

GRUPPO DI ACQUISTO ALIMENTARE PER PRODOTTI DOC E BIOLOGICI

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