sabato 21 settembre 2013

COME DARSI LA ZAPPA SUI PIEDI

Leggo distrattamente il giornale in questi giorni di ferie e mi imbatto in un articolo sui problemi dell’agricoltura.


“La crisi che morde il settore costringerà i produttori di pesche e nettarine, [ ... ] a ritirare dal mercato ingenti quantitativi di frutta destinati ad essere distrutti ad uso energetico o compostaggio”.

Pazzesco: stanno parlando alcune organizzazioni dei produttori dell’Emilia-Romagna: "I disastrosi risultati commerciali della campagna – viene osservato – rendono la situazione ormai insostenibile per i produttori che da tre, quattro anni vedono i loro redditi annullarsi a causa dei bassi prezzi praticati e dalla riduzione dei consumi“ ed è ovvio in una situazione di mercato in cui il prezzo viene stabilito dalla speculazione borsistica e non dall’incontro tra domanda e offerta, locali s’intende.

Prosegue l’articolo: “costringerà gli agricoltori a drastici ridimensionamenti degli impianti, con il grave rischio di fare aumentare in futuro le importazioni” di pesche.

E ancora: “ricorreranno ai ritiri dal mercato di importanti quantitativi di prodotto che verrà inviato principalmente alla produzione di energia o al compostaggio”.

Pur essendo addolorati e consapevoli che la distruzione del prodotto non è la soluzione (allora perchè farlo?) sostengono che ”è l’unico modo per non vedere i prezzi alla produzione abbassarsi ulteriormente“.

Dunque mi chiedo se si tratti di vero masochismo.

E la forbice dei prezzi si sta allargando, questo è dovuto a due fattori principali:

1. il prezzo al produttore è determinato da una speculazione borsistica che riesce a penalizzare il settore intero massimizzando il profitto per gli operatori finanziari

2. le vendite vanno a rilento in quanto stiamo vivendo una crisi generalizzata che colpisce anche il consumo (o capacità di spesa o reddito) che solo ora inizia a far scorgere la promessa di conseguenze ancora più nefaste; il consumo di pesche crolla perchè la capacità di acquisto delle famiglie si è drasticamente ridotta.

Quale soluzione viene proposta in questo articolo? Di sostenere il reddito dei produttori aumentando il prezzo al consumatore finale. Come fare tutto ciò? Ritirando prodotto dal mercato e rendendolo scarso. Destinando il surplus di pesche ritirato ad inceneritori e grandi pattumiere (impianti di compostaggio).

L’inutilità e il danno di questa mossa si manifestano in due fatti:

Il primo è il più lampante: produrre per buttare via, per bruciare, per marcire. Non mi vengano a opporre che si produrrà energia elettrica (solo in parte) perchè sarebbe stato più semplice evitare di sprecare energia per produrre (le pesche) che non recuperarne una minima parte bruciando e marcendo.

Il secondo è un uovo di Colombo. Se i consumatori non posso permettersi aggravi di spesa, un aumento del prezzo della pesca non potrà che produrre semplice invenduto, che verrà prontamente scaricato dai nostri “amici” speculatori della Borsa agricola sui produttori di pesche nettarine. Significa prepararsi il proprio funerale. Rarefacendo le pesche si mantiene il prezzo alto ma non sta scritto da nessuna parte che i consumatori le compereranno al prezzo imposto più alto; al contrario mi pare ovvio che in un momento di crisi come questo un prezzo alto porti semplicemente a non vendere (e a buttare via: pattumiera, inceneritore ecc …)

Ciò innesca un circolo vizioso che termina solo quando non verranno più coltivate pesche, i produttori avranno perso competenze, investimenti e redditi, i consumatori faranno la voglia di nettarine ma soprattutto gli speculatori avranno massimizzato i loro profitti in rapidissimo tempo giocando sull’allargamento della forbice dei prezzi.

Cosa si dovrebbe fare allora?

Semplice. Uscire dal meccanismo.

Basterebbe organizzare una filiera corta in cui non solo un soggetto neutro terzo si occupa di tutto quanto attiene alla parte commerciale (così il produttore può dedicarsi al suo mestiere, all’agricoltura), ma si occupa anche della lavorazione del bene primario e della sua trasformazione in prodotto complesso (le marmellate? i succhi? le pesche sciroppate? le crostate? ecc …). I margini di rientro (delle marmellate per intenderci) vengono redistribuiti a tutti i soggetti che hanno partecipato alla filiera, produttori compresi. I costi saranno minimi perchè la struttura terza non persegue il profitto da speculazione (solo un normale utile di gestione) e perchè risulta come unico soggetto di passaggio intermedio tra il produttore e il consumatore; perchè la logistica è razionalizzata e ottimizzata e perchè i consumi energetici sono notevolmente abbattuti. 

I rientri ai produttori non sono concentrati in un unico periodo dell’anno in quanto la vendita del prodotto lavorato e semilavorato riguarda tutto l’arco dell’anno (la marmellata si mangia anche in inverno, le crostate pure): in questo modo si genereranno dei flussi reddituali costanti che permetteranno agli agricoltori di ridurre l’esposizione debitoria nei confronti del sistema bancario.

Questo modello non solo non innesca il circolo vizioso che i produttori di pesche nettarine stanno tristemente avviando, ma riesce a far uscire gli agricoltori dal meccanismo speculativo generando una equa redistribuzione del reddito tra produttori e consumatori, sottraendolo alla finanza speculativa.

I maggiori redditi dei produttori agricoli possono essere in parte reinvestiti per attivare un circuito virtuoso di coltivazioni realmente biologiche, a basso impatto energetico e di reale qualità nutrizionale.

In un modello di questo genere vincono i consumatori e vincono gli agricoltori.

Possibile che sia così difficile metterlo in pratica?

di Lisa Bortolotti

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