FRODI ALIMENTARI: SEQUESTRATI FALSI PRODOTTI BIOLOGICI

La Guardia di Finanza di Verona ha sequestrato fabbricati e terreni per un valore di oltre 2,7 milioni di euro all'amministratore di una società per azioni di Casaleone (Verona).

COLTIVARE LE TERRE ABBANDONATE

La proposta di Marco Tacconi è semplice, ci sono tantissimi terreni agricoli incolti e abbandonati, perchè non sollecitare i proprietari che sono interessati a metterli a disposizione?

AIUTIAMO I BAMBINI A MASTICARE LENTAMENTE

Questa maledetta fretta e l’abitudine del “mordi e fuggi”, trasferita ormai anche all’alimentazione, ci portano a ingoiare il cibo invece di masticarlo. Complici anche i tanti prodotti alimentari di cui la pubblicità decanta la sofficità che, una volta messi in bocca, scivolano difilato giù nello stomaco.

GLI ORTI SPUNTANO PURE NELLE AZIENDE

Gli orti urbani hanno ormai superato la fase di semplice moda se, secondo i dati della Coldiretti, circa 21 milioni di italiani che stabilmente o occasionalmente coltivano l’orto o curano il giardino.

TORINO E' LA CITTA' DEI VEGANI

Torino è una città veg. Parlare di numeri non è semplice, ma i vegani a Torino sono tanti, tantissimi. «Forse più che qualsiasi altra città, basta vedere quanti punti vendita di cibo vegano ci sono, e non solo cibo».

giovedì 24 ottobre 2013

LE COSE DA NON MANGIARE

Se seguita correttamente, una dieta vegana equilibrata riesce a essere molto ricca e varia, e non noiosa a lungo andare come in tanti pensano. Sono tantissimi glialimenti che si possono scegliere per il proprio menu quotidiano, ma cosa non si deve mangiare?


Le cose da non mangiare, soprattutto se si è intransigenti, sono comunque tante. I vegani non mangiano pesce, carne, salumi, insaccati, formaggi, latte animale, uova, cereali non integrali e derivati preparati con farine 00 non integrali, burro, miele, pasta all’uovo, bevande alcoliche e cioccolato prodotto con latte animale. In questo caso è possibile optare per il cioccolato fondente o quello prodotto con latte vegetale.

È anche da evitare lo zucchero bianco o lo zucchero di canna che non riporta la dicitura “adatto ai vegani” poiché tradizionalmente viene filtrato con filtri di origine animale. Niente caffè, tè, ma questa è una scelta salutare più che etica, birra, vino e superalcolici in generale. Se proprio non si riesce a resistere alla birra, è possibile acquistarne di qualche marca approvata dai vegan.

Com’è possibile notare, le categorie di alimenti escluse da un vegano sono molte, ma è comunque possibile ugualmente seguire un regime alimentare corretto e salutare scegliendo le giuste alternative ai prodotti di origine animale. Attenzione soprattutto a non dimenticare le proteine, gli aminoacidi, i sali minerali e le vitamine. Si sottolinea inoltre che l’apporto di ferro nella dieta vegana è più basso rispetto a coloro i quali seguono un’alimentazione onnivora, dato che il ferro è contenuto soprattutto in carne e pesce.

Infine, attenzione anche al calcio, dato che i vegani non mangiano latte e latticini se non di origine vegetale. In questo caso è bene sostituirli con succhi di frutta, latte di soia, polpa di pomodoro, tofu e verdure quali cavoli e broccoli. Chi soffre comunque di una carenza di calcio può scegliere anche gli appositi integratori, da assumere però sotto consiglio del medico.

LA DIETA ALCALINA E' UNA BUFALA

Si sta diffondendo e guai a parlarne male: la “dieta alcalina” sta monopolizzando le discussioni delle signore durante i giri di gin rummy. Si tratta di un regime alimentare secondo cui bisognerebbe mangiare cibi in grado di evitare l’ “acidizzazione” del sangue, mantenendo elevato il livello del Ph. L’acidizzazione sarebbe responsabile di varie malattie – tra cui la triade artrite, diabete e cancro. Riportano alcuni post su Facebook, a nome di tale “Dr” Robert O. Young, che l’invecchiamento potrebbe essere nient’altro che “un’acidizzazione del corpo”. E la teoria viene propinata da neo-santoni di varia estrazione, menti rapide a cogliere la direzione dei venti, e a far salire aquiloni di liste con cibi “basici” e “acidi”, e inviti a diffidare dell’ “industria alimentare” e della “scienza ufficiale”. Perché, affinché dall’aquilone cadano denari, i signori devono fare in modo che della “scienza ufficiale” non ci si fidi.


Eppure, il creatore del tutto – il tale Robert O. Young – ha dato il massimo per cercare di avere un riconoscimento dalla “scienza ufficiale” che ora tanto viene ignorata. Riporta Wikipedia – e quindi riportiamo l’informazione con tutte le cautele del caso – che Young avrebbe ottenuto una laurea in “biologia e business” nei primi anni Settanta presso l’Università dello Utah, grazie a una borsa di studio tennistica. Lo stesso Young riporta poi di aver ottenuto il resto dei diplomi – master e Ph.D. presso il “Clayton College of Natural Health”, una scuola online che non è mai stata riconosciuta né in Usa, ne è all’estero, chiusa nel 2010 e sotto processo per truffa (non ha rimborsato gli studenti che avevano pagato i corsi on-line interrotti).
Si potrebbe pensare che la preparazione sia una credenziale necessaria per valutare l’affidabilità scientifica di un dietologo, ma in Italia spesso non è così. Si vede già la “dieta alcalina” prendere la traiettoria delle teorie anti-cancro propinate da professori in lettere et similia. Perché gli adepti ne parlano già con tono da religione. È comprensibile: in fondo, c’è bisogno di credere. Al posto di una realtà dura e complessa – il cancro colpisce tutti e spesso ingiustamente, e poi sì, tutti invecchiano e muoiono – ci si affida alle idee strampalate di Robert O. Young.

In fondo, poi, la dieta alcalina non fa male. S’invita a mangiare più verdura e frutta, anche se non tutta: evitate per carità l’aranciata e le banane, ma solo quelle verdi (quelle mature vanno bene). Limitate la carne, i lamponi e il melograno. Se proprio siete dei fanatici, Robert O. Young sul suo sito vende anche un dispositivo per alcalinizzare l’acqua (654 dollari – niente in confronto a quanto costerebbe una cura oncologica), oltre a integratori di “basic greens” e di arginina (ignoriamo qui che l’arginina si vende in Italia da decenni, ma tant’è). Se ancora non siete convinti, date allora un’occhiata a tutte le persone che stanno facendo la dieta: secondo il mail tra le fedeli si contano Victoria Beckham, Gwyneth Paltrow, Kirsten Dunst, Jennifer Aniston.
Basterà poi ignorare altre cose. Per esempio che sì, è vero che i cancri si sviluppano in ambienti “acidi”, ma che l’acidità è causata dal cancro stesso. Che poi qualsiasi cibo quando raggiunge lo stomaco è immerso in un ambiente notoriamente acido, e che si trasforma e tutto il ragionamento di Robert O. Young salta. Che il corpo regola automaticamente l’acidità e che variare il Ph è un’illusione; e che se ci si riesce – ingurgitando per esempio bicchierate di bicarbonato di sodio – l’effetto è transitorio e minimo (se mai). Ed è bene che sia così, perché altrimenti moriremmo. 

Perché a una conferenza in cui si parlava di tutt’altro una ragazza mi ha detto «se il Ph scende sotto a 5 stai malissimo», mentre un astante annuiva. Il ph normale del sangue è 7,4 e variazioni minime (di 0,1, per esempio) sono possibili per pochi minuti senza danni, prima che tutto si regoli nuovamente (e l’alimentazione c’entra assai poco). Il problema è che – con buona pace della ragazza – se il Ph scende sotto 6,8 o sopra 7,8 c’è la morte – e le variazioni dipendono da qualche infezione, malattia o danno a qualche organo, non dalla povera aranciata.

Eppure, c’è chi ci crede. In Italia è sbarcato un nuovo libro sul “miracolo” (sic) del Ph Alcalino. La casa editrice è la stessa che ha pubblicato altri capolavori quali “Lasciati guidare dai numeri – La scienza spirituale della numerologia”, “Karma e reincarnazione” e il supremo “Tu sei Dio – Prendine atto!”. E mentre la ragazza parlava, l’astante l’ha interrotta per parlare del fungo “ganoderma lucidum”, che cresce su un albero ogni 10.000 in Giappone, ma che rende pressoché immortali. E che adesso lo mettono nel caffè, e lo fa un’azienda americana che fattura 80 milioni di dollari grazie al “multilevel marketing”. È lo steso sistema del tubo Tucker. Funghi e diete alcalinizzanti: se ci credete, andate e fate. Ma non vi lamentate se non ci credono tutti, per cortesia. E via al prossimo giro di Gin Rummy.

Twitter: @RadioBerlino

LA GUERRA ALL'OLIO



ALLARME EPATITE A NEI FRUTTI DI BOSCO SURGELATI

Dopo l’ennesimo caso di ritrovamento del virus a Torino, Coldiretti interviene e vuole “chiarezza“, vuole sapere al più presto da dove arrivano i frutti di bosco incriminati che hanno già portato ad un rogatoria in Polonia, Ucraina, Bulgaria e Canada.Per ora l’ultimo caso di confezioni contaminate dal virus è commercializzata da La Valle degli Orti per conto di Buitoni di proprietà della multinazionale Nestlé. Di fronte ad una escalation di allarmi alimentari provenienti dall’estero, Coldiretti chiede che sia obbligatorio l’inserimento della provenienza sulle etichette di ogni prodotto alimentare, sopratutto della frutta.


Il procuratore Raffaele Guariniello

GRAZIE ALL’INTERVENTO DI COLDIRETTI, il procuratore Raffaele Guariniello ha fatto eliminare dal mercato i prodotti potenzialmente dannosi.Contando l’ultimo caso scoperto a Torino sono sei le confezioni di frutti di bosco congelati contaminate dal virus dell’epatite A. La scoperta di queste contaminazioni ha portato a indagare cinque persone per commercializzazione di alimenti pericolosi per la salute.In risposta all’allarme, la Nestlè è rimasta “sorpresa“ spiegando che aveva effettuato tutti i controlli necessari e chiedendo la ripetizione del test della procura che fu effettuato su un campione prelevato il 9 settembre in un centro Ipercoop di via Livorno a Torino. La richiesta arriva perché l’azienda “reputa ci siano gli estremi per ritenere che si possa trattare di un falso positivo”.Inoltre l’azienda sottolinea che: “In ogni caso, a seguito della notifica delle autorità sanitarie, Nestlè sta attivando le procedure necessarie al ritiro del lotto Frutti di Bosco Valle degli Orti Numero 3144088803 Data di Produzione 24 Maggio 2013 Scadenza Maggio 2015. [...] Tutti gli altri surgelati La Valle degli Orti sono da ritenersi come assolutamente sicuri per consumo”.

venerdì 11 ottobre 2013

SPETTERA' AL "NERO DI TROIA" RAPPRESENTARE LA PUGLIA A "MILANO GOLOSA"

Vino tipico del Gargano, il Nero di Troia è stato ultimamente rivalutato. Ottenuto da uve di Troia, località dell’ entroterra garganico, il Nero di Troia è un vino rosso menzionato tra i vini più antichi della regione Puglia.

Grazie al grande interesse mostrato dall’enologia internazionale verso le produzioni vinicole autoctone, i vini pugliesi sono riusciti a conquistare una posizione di grande rilievo tra i vini tipici dello Stivale.

Il vitigno Nero Troia, contraddistinto dall’ elevato carattere tannico delle sue uve, si presta benissimo alla commistione con altri vitigni locali: dall’ integrazione del vitigno Nero di Troia con i vitigni Montepulciano e bombino bianco, nasce il famosoCacc’e Mmitte di Lucera, un vino dal sapore deciso che si accompagna perfettamente ai piatti pi๠saporiti della tradizione culinaria pugliese.

Le uve Nero di Troia conferiscono al vino del Gargano un colore rosso rubino intenso e un profumo fruttato che ricorda le bacche selvatiche del Parco Nazionale del Gargano che incontrano l’ inebriante essenza di zagare sprigionata dalle piantagioni di agrumi che dominano le colture della zona.

Rispecchiando a pieno il carattere della sua terra, il vitigno Nero di Troia, dona ai vini del Gargano un sapore particolarmente deciso, tannico, dolce e allo stesso tempo agrumato, quindi arricchito da note leggermente aspre.

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Nell’ambito del circuito ‘Fuori Milano Golosa’, le più prestigiose cantine d’Italia saranno ospitate da 11 esercizi selezionati in occasione degli HappyMovinDinner, appuntamenti durante i quali si tenterà di rispondere all’eterno dilemma: ‘Nord e Sud, grande sfida o straordinario connubio?’

Per cercare una risposta allo stuzzicante quesito i ristoranti (elenco completo su www.movimentoturismovino.it), allestiranno una degustazione (costo 20euro) che vedrà confrontarsi 2 golose coppie: un vino caratteristico di una regione del Nord abbinato a un piatto tipico del Sud contro un vino simbolo di una regione del Sud abbinato a un piatto tipico del Nord.

In particolare la Puglia sarà protagonista venerdì 11 ottobre nella Trattoria ‘Casa Fontana 23 risotti’ (Piazza Carbonari, 5 – Tel. 02.6704710) in un appassionante duello enogastronomico contro il Veneto. A rappresentare il mondo enoico pugliese ci sarà il ‘Nero di Troia’, vitigno di straordinaria personalità le cui origini, secondo la leggenda, risalgono persino all’eroe della mitologia greca Diomede e che oggi, insieme a Negroamaro e Primitivo, rappresenta uno dei simboli enologici di questa regione in Italia a all’estero.

“Un’occasione in più per portare la Puglia enoica sulle tavole meneghine – afferma il presidente del Movimento Turismo del Vino Puglia Sebastiano de Corato – integrando il progetto di promozione che, proprio nel mese di ottobre, vedrà i vini di Puglia presenti in importanti enoteche e ristoranti della città”.

A decretare la coppia vincitrice e l’abbinamento migliore saranno gli appassionati golosi che vorranno deliziare i loro palati, assaggiando e degustando insoliti e sicuramente indimenticabili abbinamenti. Per tutto il mese di ottobre i vini continueranno ad essere al centro dell’attenzione dei winelover milanesi grazie all’evento ‘Puglia top wine destination’, che vedrà la presenza delle migliori etichette della regione in ben 16 enoteche della città meneghina, con happy hour a tema e degustazioni guidate (info www.mtvpuglia.it).

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10 DOMANDE FREQUENTI SUL BIOLOGICO

1. Cos’è biologico?
L’insieme delle pratiche di produzione di alimenti biologici (regolamentata a livello europeo) che fanno si che il prodotto biologico viene ottenuto senza uso di pesticidi, fertilizzanti sintetici, organismi geneticamente modificati, radiazioni ionizzanti e, nel caso di prodotti animali, senza somministrare antibiotici e ormoni della crescita. 

2. Che differenza c’è fra biologico e convenzionale?
Produrre rispettando la natura e l’uomo: con questa finalità è nata e si è diffusa l’agricoltura biologica. Il metodo predilige l’uso di risorse rinnovabili, il recupero ed il riciclo. L’adozione di tecniche di lavorazione che migliorano la struttura del terreno, l’introduzione di siepi ed alberature, le rotazioni e l’avvicendamento delle colture, i sovesci e le consociazioni, il compostaggio dei prodotti di scarto sono i principali strumenti usati per mantenere l’equilibrio biologico del suolo e della micro-fauna. La scelta dei fertilizzanti tiene conto delle preziose funzioni vitali che la sostanza organica svolge nel terreno.
Fare agricoltura biologica inoltre significa, in base alle norme europee:
– non usare sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in genere);
– ammettere solo i concimi organici (letame, compost) o minerali e tecniche di lavorazione dolci;
– non utilizzare coloranti ed aromi di sintesi nella produzione di alimenti trasformati.
Nell’allevamento del bestiame il metodo biologico presta attenzione al benessere degli animali, lasciandoli pascolare in spazi aperti e limitando la densità dei capi allevati. L’alimentazione si basa su foraggi biologici e le malattie sono curate con farmaci omeopatici.

3. Che differenza c’è fra biologico e biodinamico?
I Prodotti biodinamici sono ottenuti, innanzitutto, nel pieno rispetto delle norme dell’Agricoltura biologica, cioè controllati e certificati in base al Reg CE 2092/91. Inoltre devono essere coltivati rispettando i principi dell’agricoltura biodinamica derivanti dagli insegnamenti di Rudolf Steiner (1861-1902) e ormai consolidati in decenni di sperimentazione. In particolare l’azienda che pratica l’agricoltura biodinamica è considerata un organismo vivente, dove la produzione vegetale si integra con l’allevamento animale che fornisce il giusto concime per le coltivazioni. Tiene conto inoltre dei cicli astronomici e lunari nel calendario delle lavorazioni. Il terreno è trattato come un enorme laboratorio, “dinamizzato” con preparati a base di sostanze naturali e letame per incrementare la sua vitalità e le sue difese. Per approfondire l’argomento visita Agricoltura Biodinamica.

4. Come riconosco i prodotti biologici?
L’etichetta ha un ruolo fondamentale. Se sull’etichetta di un prodotto c’è scritto: proveniente da agricoltura biologica – regime di controllo CEE, controllato da Aiab, Suolo e Salute, Bioagricoop, Ccpb, Codex, Ecocert Italia, Imc, Qc&i o Bios, e segue un codice di riconoscimento come

Organismo di controllo autorizzato da Mi.P.A.A.FOperatore controllato n.
IT BIO 712 A 115


IT è un codice ISO che identifica il biologico in base al Regolamento CE 271/10, 712 è il codice numerico dell’organismo di controllo e certificazione, A115 è il codice dell’operatore/produttore/…/….
Un’importante novità introdotta dal Reg. CE 271/10 è la presenza in etichetta del luogo di coltivazione degli ingredienti del prodotto biologico. Di conseguenza saranno aggiunte, a seconda del caso, le diciture: AGRICOLTURA UE (per prodotti coltivati in uno dei paesi comunitari), AGRICOLTURA NON UE, AGRICOLTURA UE/AGRICOLTURA NON UE (qualora siano presenti sia prodotti coltivati in paesi comunitari che in paesi non comunitari). Per maggiori informazioni visita Riconoscere il Bio.

5. Come so che è biologico un prodotto sfuso?
A. Se un negoziante spaccia per prodotto biologico, un prodotto che non lo è commette un reato punibile dalla legge.
B. I contenitori dei prodotti (le cassette della frutta per esempio) devono riportare tutte le voci come le etichette dei prodotti confezionati.
C. Il consumatore ha diritto, e non solo nel caso dei prodotti biologici, a chiedere di visionare i certificati che hanno accompagnato la merce nel trasporto
D. Avere un rapporto di fiducia col negoziante è molto importante.
E. Acquistare da rivenditori che trattano esclusivamente prodotti biologici certificati è una garanzia.

6. Il cibo biologico è migliore di quello convenzionale?
Chiaramente questo è l’aspetto centrale che, attualmente, spinge molti cittadini verso un’alimentazione biologica. Su questo punto l’americana Soil Association si esprime in maniera netta e tutt’altro che ambigua, quando va ad affermare che “i prodotti biologici contengono meno sostanze nocive (come pesticidi, ecc.) e più sostanze nutritive (come vitamine, sali minerali e antiossidanti). Alcuni studiosi sottolineano che queste differenze più che essere dovute alle modalità di produzione siano legate alla varietà (cultivar) di pianta che viene coltivata, ma la scelta di varietà ottimali (anche in base alle caratteristiche climatiche e del terroir) è uno dei punti focali su cui si articola l’agricoltura biologica; altri affermano che, pur essendo meno presenti alcuni nutrienti negli alimenti convenzionali, tali nutrienti non risultano comunque carenti in persone che non consumano biologico. Di sicuro alcuni metaboliti secondari delle piante (i fenoli), con proprietà antiossidante, sono maggiormente presenti nella frutta e verdura biologica; la pianta produce tali sostanze come autodifesa dai parassiti, per cui tende ad “impigrirsi” laddove vengono utilizzati pesticidi chimici.

7. Può l’agricoltura biologica sostituire completamente l’agricoltura convenzionale?
Premesso che non è un problema attuale, cioè che si è ben lontani dalla possibilità che si verifichi (oggi la quantità di prodotti biologici è risibile rispetto a quella di cibi convenzionali), è comunque una domanda da porsi in un ottica di programmazione futura e di valutazione della sostenibilità. Una ricerca della durata di 21 anni, condotta dall’Istituto di Ricerca sull’agricoltura biologica di Frick, in Svizzera, porta a concludere che rispetto all’agricoltura convenzionale si ha una produzione inferiore di circa il 15-20%. D’altro canto un’altro studio a lungo termine, effettuato dal Rodale Institute di Kutztown in Pennsylvania, ha riscontrato una pressochè identica produttività dei metodi convenzionale e biologico di coltivazione (mais e soia). L’agricoltura biologica, per fare a meno di pesticidi e concimi azotati, ricorre a tecniche quali la rotazione delle colture (sullo stesso appezzamento di terreno si ruota la tipologia di pianta coltivata, per sottrarre ai parassiti un habitat stabile in cui proliferare) e la coltivazione di legumi o altri vegetali in grado di fissare sufficienti quantità di azoto nel terreno (chiaramente, in questi periodi, tali appezzamenti terrieri non sono commercialmente produttivi). Cosicchè possiamo affermare che, ad oggi, la produttività della coltivazione biologica è inferiore a quella convenzionale. Quali sono le conseguenze di tale affermazione? Calcolando che buona parte delle coltivazioni riguarda cibo per animali, una già minima riduzione del consumo di carne da parte della popolazione (peraltro consigliata da un punto di vista medico) potrebbe azzerare lo svantaggio e rendere quindi sostenibile l’agricoltura biologica su larga scala.

8. Perchè i prodotti biologici costano di più rispetto a quelli convenzionali?
Sgombriamo subito il campo da alcuni equivoci: già ora, intervenendo sulle nostre abitudini da consumatori e acquirenti di prodotti, ad esempio organizzandosi in Gruppi di Acquisto Solidale o comunque attraverso un rapporto diretto col produttore, possiamo ottenere prodotti biologici a prezzi concorrenziali e talvolta inferiori rispetto ai prodotti convenzionali. Detto questo è comunque vero che andando a comprare nei negozi è riscontrabile, mediamente, un prezzo maggiore del biologico. Questo per diversi motivi. Innanzitutto viene corrisposto al produttore un compenso equo rispetto al lavoro svolto. In secondo luogo il prezzo finale del prodotto bio contiene il totale del costo di produzione, ivi incluso il costo ambientale. Infatti mentre l’agricoltura biologica implica un lavoro maggiore (e quindi maggiori spese) legato alle tecniche di coltivazione che consentono di evitare l’immissione nel terreno, nelle falde acquifere e nell’aria di sostanze tossiche, l’agricoltura intensiva convenzionale scarica sulla collettività tali spese (a partire dai costi di depurazione delle falde acquifere).

9. Gli alimenti biologici hanno un sapore migliore?
Qui entriamo in un ambito in cui le preferenze individuali la fanno da padrone. Ciò che possiamo dire è che sempre più attori del settore alimentare, in particolare cuochi, scelgono di utilizzare cibi bio nella preparazione delle pietanze, attribuendo ad essi migliori proprietà organolettiche. Chiaramente non è possibile fare un discorso generalizzato, anche in virtù delle differenze fra ciascun singolo produttore.

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MANGIARE BIO: UNA SCELTA SEMPLICE SEMPLICE

Sono molteplici i motivi che spingono una persona informata a scegliere un’alimentazione biologica; qui cercheremo, in poche righe e senza avere pretese di completezza, di rendere conto di tali motivazioni. Innanzitutto un’alimentazione biologica è un’alimentazione sana: i prodotti biologici infatti sono quelli che, “dal campo alla tavola”, non vengono mai a contatto con pesticidi e additivi chimici nocivi all’uomo e all’ambiente e, grazie al metodo totalmente naturale con il quale vengono coltivati e trasformati, mantengono inalterato l’equilibrio tra sali minerali, vitamine e proteine che sono per noi gli elementi nutrizionali essenziali.

E’ un’alimentazione sicura visti i periodici controlli ai quali i prodotti sono sottoposti, in ogni fase della loro produzione, dagli organismi di controllo riconosciuti ed incaricati della loro certificazione.
Un’ alimentazione basata su cibi biologici quindi non solo nutre meglio ma ci protegge da pericolose carenze nutrizionali dando un valido aiuto al nostro sistema immunitario: i prodotti ottenuti con l’agricoltura convenzionale risultano infatti impoveriti dall’impiego dei concimi azotati (che determinano la diminuzione del valore biologico delle proteine), dei concimi potassici (che abbassano il magnesio e i minerali) e dei concimi fosfatici (che danno una minore quantità di vitamine).
Nei prodotti biologici non sono ammessi conservanti e coloranti ma soltanto additivi di sicura origine naturale.
Per la Normativa Europea, inoltre, i cibi bio non possono contenere organismi geneticamente modificati.
Analisi effettuate su alimenti da coltivazione biologica hanno evidenziato valori di sostanza secca, vitamine e minerali superiori rispetto ai valori consueti degli alimenti da coltivazione convenzionale.
Il cibo biologico inoltre è migliore perchè rispetta la stagionalità: non si possono paragonare infatti gusto e sapore di frutti o verdure colti e mangiati nel periodo della loro naturale crescita con gusto e sapore di prodotti ottenuti in serra.
Con il biologico l’ambiente ringrazia perchè una minore quantità di sostanze chimiche riversate nell’ambiente comporta acqua più pulita e non contaminata dai residui delle coltivazioni, terra vitale e produttiva, rispetto della vita e della biodiversità in relazione agli animali e alle piante.

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10 MOTIVI PER SCEGLIERE PRODOTTI "BIO"

Un semplice promemoria sull’utilità del progetto biologico

1. L’affermarsi di agricoltura biologica e allevamento biologico consente un abbattimento della quantità delle sostanze chimiche di sintesi (concimi e pesticidi) immesse nell’aria, nell’acqua, nei terreni e nel nostro corpo. Ciò non è utile solo per chi sceglie un’alimentazione biologica, bensì per tutta la comunità di cittadini.
2. L’incidenza di patologie riferibili all’utilizzo massivo di concimi e pesticidi chimici aumenta fortemente per i lavoratori del settore agricolo, e in generale maggiore è la vicinanza all’appezzamento in cui vengono immessi, anche in riferimento all’inquinamento possibile delle falde acquifere, maggiore è il potenziale patogeno di tali sostanze.
3. Protezione delle future generazioni. Il rischio di essere sottoposti a “dosi massicce” di sostanze tossiche è elevato anche nell’accogliente utero materno. Ormai molti studi scientifici (soprattutto negli Stati Uniti, dove sono presenti le maggiori multinazionali alimentari mondiali) lo dimostrano; questo in aggiunta al fatto che la tolleranza di un bambino alla tossicità di queste sostanze è nettamente inferiore a quella di un adulto, comporta elevati rischi a “basse” concentrazioni, che possono tradursi in problemi all’apparato riproduttivo, al sistema nervoso e insorgenze tumorali.
4. La monocoltura intensiva e l’impiego di fertilizzanti chimici impoveriscono il terreno, e incidono negativamente sulle proprietà nutrizionali degli alimenti, come dimostrato, ad esempio, da uno studio del 2005 riportato su Organic Center State of Science Review, secondo il quale nei prodotti derivanti da agricoltura biologica si riscontrano elevati livelli di sostanze antiossidanti.
5. Oggi molti scienziati affermano ciò che noi cittadini sappiamo da tempo: spesso i cibi biologici, o comunque coltivati in accordo ad una concezione naturale della produzione degli stessi, sono più buoni. Come già accennato, diverse ricerche portano ad affermare che i prodotti biologici hanno un contenuto minore di nitrati e maggiore di antiossidanti.
6. Supporto a piccole aziende. La produzione biologica ben si confà ad aziende non necessariamente pachidermiche. A differenza dei prodotti convenzionali, la cui produzione è tutt’altro che giustamente retribuita (per cui è necessaria la produzione intensiva di grandi quantità), i prodotti biologici assicurano un compenso equo ai produttori, rendendo possibile un’azienda integrata armoniosamente con l’ambiente circostante.
7. E’ interessante osservare con quanta semplicità nuove e non sempre collaudate tecnologie alimentari vengono ammesse dal mercato. L’utilizzo di ormoni della crescita e farmaci antibiotici, l’introduzione degli OGM hanno avuto maggiore attenzione da parte del legislatore di quanta ne attiri il biologico, sia a livello nazionale che, e forse soprattutto, a livello europeo. Questo ha fatto si che nella nostra dieta quotidiana sono ormai costantemente presenti sostanze o “tecnologie alimentari” che fino a qualche anno fa erano assenti, dei quali, è importante sottolineare, non si sa con certezza quali effetti possano avere sulla salute delle persone.
8. Supporta la produzione locale. Il biologico, spesso a km0, oltre a limitare le immissioni inquinanti del trasporto su gomma e l’impiego di imballaggi (packaging), da stimolo all’economia locale e preserva, quando non incrementa, la ricchezza del territorio. Una conseguenza è la totale tracciabilità del prodotto o addirittura la conoscenza diretta del produttore.
9. Promuove la biodiversità. E’ insito nella produzione biologica il ricorso a sementi biologiche, non derivanti da manipolazione genetica o trattamenti che portino allo stesso risultato, quanto più possibile autoctoni (tipici della zona). D’altronde basta visitare un’azienda biologica per rendersi conto della molteplicità biologica che in essa trova accoglienza. Spesso si assiste al ritorno di “fauna nativa”, insomma un’azienda biologica è tale se riesce ad istaurare con la flora e la fauna indigena un rapporto che tenga presente la buona riuscita dei raccolti senza minacciarne l’esistenza. In un certo senso un’azienda biologica può essere vista come l’equivalente di una riforestazione.
10. Rispetta e incrementa la cultura agricola. Il biologico non è necessariamente il sistema di produzione alimentare più efficiente anzi, è più lento, duro, complesso e faticoso. A fronte di questo preserva la biodiversità e le tradizioni locali, limita l’impiego di tossine chimiche e l’impatto ambientale, garantisce standard qualitativi e una completa tracciabilità del prodotto.

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PERCHE' UTILIZZARE L'OLIO BIOLOGICO ?

Quando si parla di olio di oliva biologico si parla del “re” della dieta mediterranea, alla quale conferisce alcune delle sue caratteristiche di salubrità (dall’azione antiossidante alla regolazione del “colesterolo cattivo” a favore del “colesterolo buono”, benefica a livello cardio-circolatorio); l’area mediterranea è il luogo di quasi esclusiva produzione dell’olio (e quindi di olio bio), con l’Italia fra i maggiori produttori (subito dopo la Spagna). Il crescente interesse nei confronti della produzione e diffusione di olio di oliva bio non può sorprenderci, è chiaro che di fronte ad un alimento a tal punto importante nella nostra dieta e per la nostra salute, non si può non tenere in considerazione l’assenza di sostanze chimiche di sintesi nella coltivazione biologica delle olive, le tecniche utilizzate in frantoio in grado di non alterare le proprietà salutari e organolettiche dell’olio bio e la certezza che le olive utilizzate per produrre olio di oliva bio sono locali, autoctone (e non un mix di olive tra cui olive importate e dall’origine incerta e non tracciabile).

Olio biologico: dalla coltivazione alla raccolta

L’olio biologico per essere definito tale deve seguire le stesse procedure di qualsiasi altro prodotto biologico. Le aziende bio che vogliono produrre olio biologico devono in sostanza attenersi alle indicazioni del Regolamento Comunitario (vedi la sezione Agricoltura biologica) e assoggettarsi ad una serie di rigorosi controlli effettuati dagli organismi di controllo e certificazione dei prodotti biologici. Tale regolamentazione oltre a garantire circa il non utilizzo di sostanze chimiche di sintesi (utilizzate come concimi e pesticidi) impone che le olive siano di provenienza locale garantita al 100%. La raccolta delle olive biologiche avviene tra fine Ottobre e inizio di Novembre (ciò dipende dalle condizioni atmosferiche annuali che interessano l’uliveto), nel momento in cui le olive cominciano a cambiare colore (passando dal verde al nero) e in generale in base a quelle che sono le caratteristiche dell’olio che si vuole produrre (ritardando la raccolta l’acidità aumenta e si ottiene un olio più dolce ma meno fruttato); la raccolta deve avvenire sulla pianta (per garantire le migliori caratteristiche organolettiche dell’olio) preferibilmente a mano (o limitando al minimo l’intervento meccanico) e sempre su reti e mai a terra. Il trasporto in frantoio deve essere sollecito (per evitare fenomeni di fermentazione sul campo) e in cassette “sfinestrate” in grado di assicurare una buona areazione delle olive.

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sabato 5 ottobre 2013

FRODI ALIMENTARI: TONNO DI MATTANZA

Il prodotto in realtà proveniva da una partita maltese Palermo, 20 set. (TMNews) – Vendeva ai turisti come “tonno di mattanza di Favignana” del tonno importato in realtà da Malta. La frode, messa in atto da una nota azienda dell’isola trapanese, è stata però scoperta dai carabinieri. I Nuclei Antifrodi dei militari hanno accertato che l’ultima cattura di tonno effettuata dalla tonnara di Favignana risale al 2007, per cui è risultata subito dubbia la genuinità del prodotto. Gli accertamenti sulla tracciabilità e sulla etichettatura hanno confermato che il prodotto è risultato provenire da una partita importata da Malta; che il prodotto confezionato in scatola, nonostante avesse l’indicazione in “olio extravergine d’oliva”, in realtà era conservato in olio raffinato. Il prodotto, venduto come d’eccellenza ai turisti, veniva venduto a 10 euro per 100 grammi. Anche l’aspetto della conservazione in olio raffinato, invece che in olio extravergine d’oliva, come indicato in etichetta nel prodotto sequestrato, sottolinea la gravità della frode su cui stanno proseguendo gli accertamenti. I Nuclei Antifrodi Carabinieri stanno infatti verificando se si tratti di una pratica riscontrabile in altri casi anche se isolati. I controlli proseguiranno su tutta la filiera anche d’intesa con l’Agenzia delle Dogane, la Direzione Generale della Pesca, l’Ispettorato Controllo Qualità e Repressione Frodi del Mipaaf e con gli altri organismi di controllo nazionali e locali.

fonte: Romaora.com
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venerdì 4 ottobre 2013

ARRIVA LA MELA OGM CHE NON DIVENTA MARRONE A CONTATTO CON L'ARIA

SARA’ UNA PICCOLA AZIENDA AGRICOLA STATUNITENSE A LANCIARE SUL MERCATO LA  ARTIC APPLE

La mela la cui polpa non si scurisce a contatto con l’aria: tra molte perplessità.Ogni volta in cui penseremo che «una mela al giorno toglie il medico di torno» basterà ricordarsi della arctic apple perché questo vecchio adagio ci appaia assai meno rassicurante di quel che doveva essere in origine: la nuovissima qualità di mela che sarà lanciata a breve sul mercato da una piccola azienda alimentare americana, Okanagan Specialty Fruits, infatti, più che il salutare frutto di madre natura è il prodotto di una manipolazione genetica che fa in modo che il suo aspetto non cambi quando viene sbucciata. Anche se, pregiudizi e paure a parte, nella sostanza le qualità del prezioso frutto dovrebbero restare invariate.La modifica grazie ad un particolare gene anti-ossidante servirebbe a prevenire quel caratteristico annerimento che compare sulla polpa della mela quando questa viene esposta all’aria aperta: chiaramente, ciò comporterebbe la possibilità di avere un frutto sempre croccante e lucente, dall’aspetto fresco come appena tagliato, anche, magari, se servito parecchie ore dopo la preparazione. Una prospettiva che inevitabilmente sta suscitando non poche perplessità tra le associazioni di consumatori statunitensi e canadesi, dove a breve potrebbero essere disponibili le mele eternamente giovani, nelle due varietà Golden Delicious e Granny Smith. Con il primo lecito dubbio che ha attraversato la mente di molti, probabilmente anche al di qua dell’Oceano: come comprendere, dunque, se un frutto è marcio, dal momento che l’apparenza suggerisce che sia stato colto dall’albero poco prima, o quasi?


EPPURE C’E’ LA POSSIBILITA’ CHE IL MERCATO AMERICANO NON SI MOSTRI PARTICOLARMENTE RESISTENTE alla arctic apple, almeno stando ai risultati delle prime indagini di mercato condotte recentemente, ovvero da quando si è aperto il periodo dedicato al dibattito pubblico del prodotto, prima che giunga la definitiva approvazione da parte del Ministero federale dell’Agricoltura: del resto è comprensibile che, ad una prima fase di diffidenza, subentri uno spontaneo processo di adattamento, anche alla mela geneticamente «a prova di macchia». Inoltre, sarebbe sufficiente a stimolare all’acquisto anche i più refrattari rammentare che, ormai da anni, mele sbucciate e tagliate vengono vendute come snack preconfezionati, trattando però, in quel caso, l’alimento con sostanze che aiutano a mantenerne intatta la freschezza, primo tra tutti l’acido citrico (o, se preferite, il succo di limone), notoriamente già utilizzato anche a livello domestico per prevenire l’alterazione della frutta tagliata. La arctic apple, invece, presenterebbe il vantaggio di essere stata già modificata con un gene sintetico in grado di ridurre la produzione di enzimi polifenol-ossidasi, responsabili dell’imbrunimento pressoché immediato del frutto, preservandone al contempo invariate le proprietà organolettiche senza ricorrere ad elementi aggiuntivi: ma se basterà questo ai consumatori americani, cosa ne pensano i palati nostrani? Per il momento, Coldiretti fa sapere che l’idea della mela che non si annerisce non risulta particolarmente interessante per la grande maggioranza degli italiani, con un eco di opposizioni che provengono, principalmente, dai coltivatori: è bene ricordare, a questo proposito, che l’Italia è il primo produttore europeo di mele in Europa, con tanto di riconoscimenti comunitari che attestano l’origine e l’indicazione geografica protetta dei pomi nati sul suolo italico simbolo, dunque, di genuinità naturale. E in fondo queste preoccupazioni, per adesso, ci riguardano soltanto da lontano: perché per noi la strada per l’agricoltura sostenibile, che fa bene all’ambiente e all’economia, c’è e basta seguirla.


Redatto da Pjmanc http:/ ilfattaccio

L'OCCULTAMENTO DELLE POTENZIALITA' DELLA VITAMINA D

DAL MOMENTO CHE ESISTE UNA SOSTANZA CAPACE DI PREVENIRE L’INFLUENZA MOLTO PIU’ EFFICACEMENTE DE VACCINI 
tutti noi saremmo portati a pensare che gli scienziati avrebbero fatto di tutto per pubblicizzarla, giusto? In fin dei conti il nocciolo della questione non dovrebbe essere quello di proteggere bambini e adulti dalla influenza? Uno studio clinico condotto dal dottor Mitsuyoshi Urashima presso la Divisione di Epidemiologia Molecolare nel Dipartimento di Pediatria presso la Università di Medicina di Minato-ku a Tokyo, ha rilevato che la vitamina D sia estremamente efficace nel prevenire la comune influenza nei bambini. Lo studio è stato pubblicato nel marzo 2010 dal Journal of Clinical Nutrition. Si è trattato di un esperimento randomizzato su due gruppi il quale ha coinvolto 334 bambini, a metà dei quali sono stati somministrati 1.200 IU al giorno di vitamina D3, e alla altra metà un semplice placebo.


TALE RIGOROSO STUDIO E’ STATO SVOLTO SEGUENDO SCRUPOLOSAMENTE TUTTI GLI STANDARD SCIENTIFICI PIU’ RIGIDI.
I risultati hanno detto che mentre 31 dei 167 bambini facenti parte del gruppo “placebo” hanno contratto la influenza durante i quattro mesi nei quali è proseguito lo studio, solo 18 dei 168 bambini del gruppo “vitamina D” la ha contratta. Questo significa che la vitamina D è stata responsabile di una riduzione assoluta di quasi l’8 per cento.I vaccini antinfluenzali – secondo i più recenti dati scientifici – ottengono 1% di riduzione dei sintomi dell’influenza.Ciò significa che la vitamina D sembra essere 800 volte più efficace rispetto ai vaccini per prevenire le infezioni influenzali nei bambini.Per sostenere ulteriormente questi dati, sarebbe stato necessario effettuare un ulteriore studio clinico attraverso il quale porre a confronto diretto i supplementi di vitamina D con i vaccini antinfluenzali, attraverso una sperimentazione su un totale di quattro gruppi di individui:
Gruppo # 1 dovrebbe ricevere un placebo di vitamina D
Gruppo # 2 dovrebbe ricevere vitamina D (2.000 IU al giorno)
Gruppo # 3 dovrebbe ricevere una iniezione di vaccino antinfluenzale
Gruppo # 4 dovrebbe ricevere una iniezione placebo
Purtroppo un simile esperimento non potrà mai essere ufficialmente realizzato perché gli spacciatori di vaccini sanno bene che proverebbe in maniera definitiva la inutilità dei loro vaccini.Tornando allo studio, un altro affascinante risultato è che per quei bambini ai quali in passato – prima dell’esperimento – era già stata somministrata vitamina D da parte dei genitori, i risultati si sono rivelati ancora migliori, in quanto in tali soggetti la vitamina D ha ridotto il rischio di influenza di quasi due terzi.In altre parole, più di sei bambini su dieci che normalmente avrebbero contratto la influenza sono risultati protetti dalla vitamina D.Lo studio ha anche evidenziato come la vitamina D abbia fortemente represso i sintomi da asma bronchiale. Su 12 bambini con precedenti diagnosi di asma, nel gruppo “vitamina D”, solo 2 hanno manifestato tali sintomi.Sebbene questo sottoinsieme sia di dimensione piuttosto contenuta, è apparso assolutamente chiaro che la vitamina D prevenga gli attacchi di asma nei bambini, e tutto ciò si dimostra del tutto coerente con la prova antinfluenzale.


GLI SPACCIATORI DI VACCINI NON SONO VERI SCIENZIATI.
Ora, dal momento che la vitamina D3 ha denotato un effetto così potente nel prevenire l’influenza – 800 volte più efficace dei vaccini – i medici e le autorità sanitarie non dovrebbero darsi da fare prescrivendo l’assunzione di vitamina D prima che abbia inizio la “stagione influenzale”?Nonostante la vitamina D abbia offerto una indiscutibile protezione contro tutte le infezioni influenzali, costoro ancora non la consigliano.Perché? Perché non credono nel nutrizionismo! Esso infatti si pone in contrasto con la loro agenda informativa sanitaria, la quale afferma che i nutrienti sono per lo più inutili, mentre solo i farmaci possiederebbero reali funzioni curative.Si potrebbero pubblicare un centinaio di studi atti a dimostrare come la vitamina D sia molte volte più efficace dei vaccini, eppure ancora non la raccomandano.Sono promotori del dogma medico piuttosto che di soluzioni reali per aiutare i pazienti. Ma questa è la storia della scienza: un sacco di persone apparentemente “intelligenti” che commettono errori marchiani su base regolare. Il che ricorda un pò i progressi della scienza: una nuova idea contesta un vecchio assunto, e dopo che tutti i difensori del vecchio assunto (sbagliato) muoiono, ecco che viene accettato il nuovo assunto, il tutto su basi per lo più dogmatiche.Tale atteggiamento si riflette in una citazione del Dr. John Oxford, professore di virologia al Queen Mary School of Medicine di Londra, la cui reazione allo studio descritto in questo articolo è stata:Avete notato le sue osservazioni conclusive? Non ha nemmeno preso in considerazione l’idea che la vitamina D possa sostituire i vaccini. Piuttosto, afferma che la vitamina D abbia valore solo se somministrata congiuntamente ai vaccini!Questo ostracismo “dogmatico” è riscontrabile anche in campo oncologico in merito alle erbe anti-cancro e ad altre sostanze nutritive. Ogni volta che si riscontra una reale utilità di tali sostanze anti-business, ecco che certa stampa afferma cose come: “Beh, questa sostanza potrebbe essere utile se somministrata al paziente dopo la chemioterapia …” ma mai in sostituzione della chemio, ovviamente.Molti medici tradizionali e scienziati medici sono semplicemente incapaci di pensare al di fuori del box molto ristretto in cui i loro cervelli sono stati spinti dopo anni di de-formazione presso le scuole di medicina. Quando hanno a che fare con elementi contrari a ciò che è stato loro insegnato, essi stupidamente finiscono per respingerli.

 

 RIVISTE MEDICHE: CUSTODI DELLA IGNORANZA
Gran parte delle riviste mediche non funzionano come amplificatori di verità scientifiche, ma come difensori del dogma pseudoscientifico. Per essere pubblicato un testo – nella gran parte di tali riviste – il tema trattato deve soddisfare le aspettative e le credenze tanto del giornale quanto dello editore. Così, il progresso della conoscenza scientifica in ogni giornale si limita a rispecchiare le attuali convinzioni di un singolo individuo: il direttore di quel giornale.Quasi tutte le ricerche pionieristiche che abbiano sfidato lo status quo sono state respinte. Solo ai documenti che confermassero le convinzioni di redazione della rivista è stata regolarmente concessa la pubblicazione. Questa è una delle ragioni per cui la scienza medica, in particolare, avanza così lentamente.Gli studi che hanno dimostrato che la vitamina D sia più efficace rispetto ai vaccini hanno visto raramente la luce del giorno nella comunità scientifica. Ciò avvalora l’opera del Journal of Clinical Nutrition, il quale ha accettato la pubblicazione di questo documento da parte Mitsuyoshi Urashima. La maggior parte delle riviste mediche non avrebbero osato pubblicarlo proprio perché mette in discussione lo status quo relativo a vaccini ed influenza.Vedete, le riviste mediche sono in gran parte finanziate dalla industria farmaceutica. E Big Pharma non vuole accordare alcuna credibilità agli studi sulle vitamine, indipendentemente dal loro valore scientifico. Anche se la somministrazione di vitamina D potrebbe comportare un risparmio di miliardi di dollari in America, e ridurre i costi di assistenza domiciliare, nessuno vuole concedere supporto scientifico alla vitamina D dal momento che alle aziende farmaceutiche non sarebbe concesso di brevettare una vitamina. Essa è inoltre facilmente accessibile al costo di pochi centesimi.Con il tempo la vitamina D sarà riconosciuta come superiore ai vaccini nel contrastare la influenza stagionale, ma per adesso dobbiamo sorbirci la sciocca propaganda di un settore che ha abbandonato la scienza, per adorare aghi e provette.

Articolo pubblicato sul sito The Vigilant Citizen 
Redatto da Pjmanc http:/ ilfattaccio

OLIO DI PALMA NOCIVO PER LA SALUTE

L’olio di palma, un argomento alquanto controverso. Abbiamo già sviscerato abbastanza le pericolosità associate alla sua coltivazione: abbiamo visto come, ad esempio, Greenpeace abbia dichiarato che è una delle maggiori cause di deforestazione, spiegando dei retroscena che fanno veramente rabbrividire. Eppure l’olio di palma è enormemente diffuso, spesso anche in cibi bio.


Oggi, invece, ci vogliamo soffermare sulle pericolosità connesse al suo consumo che, a quanto si apprende da alcuni siti di informazione, il Consiglio Superiore della Sanità belga (CSS) avrebbe ufficializzato.

Secondo quanto diffuso nel comunicato diramato dal CSS, l’olio di palma, come altri oli non raccomandati, è nocivo per la salute a causa del suo elevato quantitativo di grassi saturi. In particolare, gli acidi grassi saturi sarebbero responsabili della formazione di pericolose placche sulle pareti delle arterie. Secondo il Consiglio Superiode della Sanità belga, dunque, il suo consumo dovrebbe essere limitato all’8% dell’apporto energetico giornaliero. Un quantitativo difficile da rispettare, visto che l’olio di palma è contenuto nella maggior parte dei prodotti presenti sul mercato e camuffato come generico “olio vegetale”.

L’avviso sembra sia stato emesso a l’8 agosto scorso, ma finora non ha avuto alcun rilievo negli altri Paesi dell’Unione Europea. Eppure, il parere scientifico del CSS belga è molto chiaro. Per chi fosse interessato, può visionare l’avviso a questo link.

Ciò che rende questa ufficializzazione ancora più preoccupante è il fatto che questo particolare tipo di olio è presente in notevole quantità in tantissimi alimenti. L’olio di palma, inoltre, non conterrebbe soltanto i comuni grassi saturi, ma anche quantità elevate di grassi di tipo AGS-ath (C12, C14 e C16) che sono considerati dei veri e propri nemici per le arterie.

A chi difende l’olio di palma per via del suo contenuto di vitamina E e di carotenoidi precursori della vitamina A, il Consiglio belga risponderebbe che le vitamine presenti al suo interno non sono sufficienti a controbilanciare la sua ricchezza di acidi grassi AGS-ath.

Ecco il motivo per cui il Consiglio Superiore della Sanità belga ha deciso di prendere posizione a riguardo, consigliando l’utilizzo di oli vegetali differenti, meno pericolosi per la salute dei consumatori.

L’olio di Palma, che costa molto meno di altri tipi di oli vegetali, è sempre più utilizzato e diffuso sul mercato. Il problema è che spesso il riferimento al suo utilizzo è spesso nascosto in etichetta sotto la dicitura “olio vegetale” .

Una condizione ambigua che, a partire da dicembre 2014, dovrebbe essere risolta: il Parlamento Europeo, infatti, ha effettuato un cambio nella legislazione comunitaria che obbligherà tutta l’industria alimentare a indicare l’origine dell’olio per consentire ai cittadini di avere maggiore consapevolezza di ciò che consumano.

Nel frattempo, ai consumatori non conviene far altro che autoregolarsi, acquistando tutti quei prodotti di cui possono identificare con certezza la provenienza e l’affidabilità.

di Giusy Ocello
fonte: AmbienteBio

LA NATUROPATIA COME EDUCAZIONE ALLA SALUTE

C’erano una volta le diete, gli alimenti pesati con scientifica precisione, i menu rigorosi da rispettare religiosamente – yogurt il lunedì, mela il martedì, guai a invertirli – e il temuto appuntamento con la bilancia. Poi è arrivata la naturopatia, una disciplina multiforme che porta con sé la filosofia dell’educazione alla salute (prima di tutto alimentare) e si traduce nella vasta gamma di prodotti biologici, tisane alle erbe, integratori alimentari, che siamo ormai abituati a trovare nei reparti specializzati delle farmacie, nelle erboristerie, persino al supermercato.


In Italia le prime scuole di naturopatia nascono alla fine degli anni Ottanta, e gradualmente il numero dei curiosi verso la nuova materia cresce, fino alla vera e propria esplosione di interesseche si è sviluppata di recente. “In realtà le radici della naturopatia sono ben più lontane – precisaLuca Avoledo, naturopata a Milano da oltre dieci anni – Potremmo risalire fino a Ippocrate, ma è tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento che viene codificata nel mondo occidentale, a partire dall’Inghilterra e soprattutto dagli Stati Uniti”. Maturità classica e una laurea in Scienze Naturali, Avoledo si è occupato di ambiente fino a quando ha deciso di dedicarsi alla materia che ama chiamare “ecologia del corpo”, diplomandosi alla Libera Università Italiana di Naturopatia Applicata di Torino e successivamente conseguendo il Master post lauream in Naturopatia dell’Università Sapienza di Roma.

Cosa cercano le persone che si rivolgono a una professionalità come la sua?
Quello che accomuna tutti i clienti che ho avuto in questi anni è la richiesta di un cambiamento che coinvolga l’individuo nella sua interezza. Noi naturopati non curiamo malattie, ma agiamo sull’educazione alla salute, in maniera didattica.

Clienti, e non pazienti, dunque. Chiariamo subito: che rapporto c’è fra naturopatia e medicina?
Non sono in conflitto fra loro, ma si tratta di due ambiti molto diversi. Una persona può rivolgersi contemporaneamente ad entrambe le figure: dal medico cerca la cura per una patologia, al naturopata chiede un’accoglienza globale, la risposta a un disagio, che può essere causato da molteplici fattori come lo stress o uno stile di vita scorretto.

E quali sono gli strumenti con i quali il naturopata agisce per fornire queste risposte?
I mezzi sono tanti proprio perché si tratta di una materia multidisciplinare, io per esempio mi baso fondamentalmente sull’alimentazione e sull’integrazione nutrizionale, altri colleghi lavorano più sul corpo attraverso, per esempio, i trattamenti corporei o la riflessologia plantare. Questo secondo approccio è quello di tipo più energetico, molto diffuso in Italia. Il mio invece si avvicina alla scuola americana. L’obiettivo, comunque, è unico: agire sull’individuo perché possa esso stesso esprimere a pieno le proprie potenzialità di salute.

Facciamo un esempio pratico: se io prenoto da lei una visita, non devo aspettarmi di ricevere una dieta scritta…
Qualcosa di scritto c’è, ma la definirei più una “grammatica dell’alimentazione”. In altre parole, io non le dirò cosa mangiare, ma le spiegherò come mangiare per raggiungere le potenzialità di cui parlo: non istruzioni ma strumenti, per diventare noi stessi i primi artefici del nostro benessere. Ogni persona ha delle esigenze proprie, e usando questa grammatica può (e deve!) farsi da solo la propria dieta.

In tutto questo gli integratori alimentari a cosa servono?
Vitamine o minerali agiscono da “stampella”; per usare una metafora, danno la spinta all’automobile che è rappresentata dal corpo umano. Ho visto cambiare la salute di tanta gente soltanto attraverso l’alimentazione, ma questo richiede molto tempo. Supplementi come magnesio e vitamine del gruppo B (giusto per fare qualche esempio, l’elenco sarebbe lunghissimo), ma anche piante ed erbe possono essere fondamentali per aiutare l’organismo a ripristinare e rimodulare più velocemente alcune funzioni biologiche.

Il suo cliente tipo?
L’utenza non è cambiata granché negli ultimi dieci anni: il target più rappresentato è certamente quello delle donne fra i 35 e i 45 anni, anche se ci sono pure gli uomini, giovani o anziani. La differenza, nella mia esperienza, l’ho avvertita sui numeri: di recente ho notato un aumento sia delle visite che faccio nel mio studio sia dei casi di chi mi chiede consigli sulla possibilità di intraprendere la mia professione.

E lei cosa suggerisce?
Dico di scegliere, fra le varie scuole, quella che risponda alle proprie esigenze, a quello che si vuole diventare. Ma sono sincero con loro: in Italia siamo molto indietro rispetto a diversi altri stati europei; da noi la professione del naturopata non è riconosciuta, nonostante l’invito dell’OMS, ormai tanti anni fa, a riconoscere i professionisti non medici della salute in ambito complementare, ovvero non convenzionale, come risorsa preziosa per i sistemi sanitari nazionali. Qualche passo in avanti è stato fatto con la legge 4/2013 sulle professioni non regolamentate, anche se questa non parla esplicitamente di naturopatia. Non esiste un albo, ma soltanto degli elenchi stilati dalle associazioni di categoria e dalle scuole. Queste ultime per fortuna cominciano a standardizzarsi. La regione Lombardia recentemente ha creato una partnership con l’OMS, recependone i criteri formativi in materia di naturopatia.

Attilio Speciani, medico allergoimmunologo, è l’inventore di uno dei test sulle intolleranze alimentari, il test DRIA, praticato da alcuni naturopati e non riconosciuto dalla medicina. Un esempio di collaborazione fra medicina e naturopatia…
Speciani è il medico più naturopatico che conosco, mi piace definirlo un “naturopata sotto mentite spoglie”. Noi naturopati non dovremmo mai tentare di sostituirci ai medici né diffondere falsi miti legati all’astensione dai farmaci. Un medico esperto di medicina naturale come Speciani è l’emblema del rapporto costruttivo che si può creare fra questi due ambiti diversi ma non per forza distanti.


QUALE FUTURO PER I G.A.S. ?

La nostra civiltà si trova su di un’isola circondata dall’acqua che inizia lentamente a salire (per il cambio climatico …), con la prospettiva di sommergerla; di fronte a questo scenario di crisi sistemica ed ecologica, da parte degli abitanti dell’isola ci sono tre tipi di comportamento.


1. Il primo è quello di chi cerca di rimuovere la crisi godendosi il sole e l’acqua alle caviglie, pensando che si tratti solamente di un flusso di marea un po’ più alto del solito. Questo atteggiamento richiama “Il principio della Rana Bollita” (del linguista Usa Noam Chomsky, che lo riprende da “Mente e Natura” di Gregory Bateson). “Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita”.

2. La seconda reazione è quella competitiva che scatta quasi in automatico, anche perché a questa siamo stati addestrati dal modello economico, sociale e culturale dominante: ogni abitante dell’isola cerca di costruire la sua zattera. Parte così la corsa a tagliare gli alberi e accaparrarsi le funi per costruire ognuno la propria fragile imbarcazione, tutti contro tutti, anche perché è evidente che gli alberi dell’isola non saranno sufficienti a realizzare tante zattere quanti sono gli abitanti. Qualcuno sarà inesorabilmente costretto a rimanere sull’isola che affonda. In questo caso il pensiero va alla favola “La rana e il bue” dello scrittore greco del VI secolo A.C. Esopo. “La rana vide una volta il bue al pascolo e presa da invidia per tanta grandezza gonfiò la pelle rugosa: poi chiese ai suoi figli se fosse più grossa del bue. Loro risposero di no. Tese di nuovo la pelle con sforzo maggiore e nello stesso modo domandò chi fosse più grande. Loro dissero il bue. Alla fine, esasperata, mentre cercava di gonfiare ancora di più tutta se stessa, il suo corpo scoppiò e così giacque”.

3. La terza risposta potrebbe essere quella più efficace per soddisfare i bisogni di ciascuno e di tutti nel contempo: prevede la realizzazione di una piccola flotta di arche in grado di trasportare tutti gli abitanti, con le provviste, un po’ di orto e qualche animale per affrontare la traversata. In questo caso gli alberi e le corde presenti sull’isola possono bastare, ma bisogna riuscire ad organizzarsi e a dividersi i compiti, ed è necessario il contributo di tutti. La capacità di inventare soluzioni cooperative è propria solo di una parte del genere umano (minoritaria ?) e non sempre ‘scatta’ in essa quando si trova in situazioni difficili: la creatività di alcuni nei confronti della passività di altri è ben rappresentata dalla favola delle ‘Due rane’ dello scrittore francese del ‘600 La Fontaine. “Due rane cascano in un secchio di latte. Una rana è pessimista e dice: “Non ho nessuna possibilità di sopravvivere, meglio morire subito che soffrire a lungo e inutilmente”. Così smette di nuotare e annega. La seconda rana che aveva una gran voglia di vivere, non seppe far altro che esprimere tale voglia: si dimenò, si agitò, si dibatté. Sino a che, scosso da tanto ribollire, il latte divenne burro. Ed essa si salvò”. Le modalità di rispondere alla crisi delle tre rane si possono applicare non solo alle risposte dei singoli ma anche alle reazioni dei gruppi e delle organizzazioni della ‘società civile’ di fronte alla crisi (anche se spesso non è facile immaginare quale possa essere la terza risposta: creativa, cooperativa e capace di futuro). Se proviamo ad applicare questo schema ai comportamenti di una delle parti che sembra potenzialmente più “creativa” dell’attuale genere umano (italico …), i Gas (Gruppi di acquisto solidale), protagonisti per quanto riguarda la Lombardia dell’indagine di cui si presentano e analizzano i risultati in questo libro, possiamo evidenziare tre possibili modi diversi di porsi:

1. rimanere chiusi nel proprio Gas, ritenendo sufficiente l’acquisto di prodotti alimentari più o meno biologici per migliorare la propria salute e qualità della vita;

2. affrontare con atteggiamenti competitivi la relazione con altri Gas o realtà ecosol, con l’intento di mostrare la propria “superiorità” di intervento;

3. farsi carico del futuro sostenibile del proprio territorio cooperando con gli altri Attori che hanno obiettivi analoghi e complementari.


Questa catalogazione di comportamenti, un po’ brutale, speriamo possa tornare utile ai Gas per orientare la propria attività verso quelle pratiche che costruiscono futuro, come scriveva Pietro Raitano nel 2010introducendo il precedente libro “Il capitale delle relazioni”: “Quello che state per intraprendere è un viaggio – nel futuro. [...] Il futuro dell’economia è questo: fiducia, incontro, confronto. Le esperienze che raccontiamo in questo libro nascono tutte da qui e da una capacità precisa che si chiama lungimiranza. I gruppi di acquisto solidali, le reti, le cooperative, le botteghe del commercio equo, i distretti di economia solidale, questo hanno in comune: non di visionari si tratta, ma di persone che amano guardare lontano”.

Ma non sempre le cose vanno in questa direzione, come mostrano le difficoltà di molti soggetti ecosol ad entrare in rapporto con i Gas, anche se propongono prodotti o servizi ‘solidali’ (si vedano i problemi sorti nella filiera tessile ‘Made in NO’ o le poche relazioni dei Gas con la finanza etica di cui si parla in questo libro); taluni gasisti, cadendo in particolare nel secondo modo di porsi, quello competitivo, sembra non si rendano conto di rischiare di divenire preda di una degenerazione della ‘sindrome di Penelope’: ci riferiamo
ai comportamenti di coloro che di giorno non solo operano all’interno e a supporto dell’attuale sistema di mercato, ma quando la sera si propongono di disfare la tela ordita durante il giorno tramite le pratiche di ‘consumo critico’, invece di contrastare solo il principale nemico, i Proci appunto, ben descritti nell’Odissea, sono fin troppo ‘critici’ anche verso coloro che hanno scelto di dedicare tutta la propria giornata lavorativa all’impegno ecosol, non comprendendo come sia importante sostenere chi fa coerentemente questa scelta difficile, rischiosa e ben poco remunerata. In una delle testimonianze riportate in ’Davide e Golia’ (Bertell L. et al., Jaka Book 2013 p.103) si dice: “Trovavo forte la contraddizione di lavorare durante il giorno, e la sera nel volontariato cercare di rimediare a quello che ti rende complice di un sistema [...]; ho lasciato un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio buono e non avevo la garanzia che avrebbe funzionato”.

Dopo tre anni dal libro “Il capitale delle relazioni”, torniamo con il volume che avete tra le mani, in cui proviamo a rendere conto degli sviluppi che ci sono stati nel frattempo, presentando in una prima parte dati e riflessioni relativi ad un’analisi ‘scientifica’ di quali sono le strategie d’azione e le dinamiche organizzative dei Gas, la cui diffusione e numero continuano a crescere. Se il primo libro voleva dare un’idea dei singoli percorsi avviati dai soggetti italiani dell’economia solidale (come creare un Gas, il rapporto tra produttori e coproduttori, come avviare un Des, etc.), questo vorrebbe scendere ancora più nello specifico della ‘intrapresa’ ecosol, mostrando, nella seconda parte, i dettagli di alcune esperienze significative per capire meglio cosa le fa funzionare, ma anche quali ne sono i limiti: il tutto sempre con una scrittura a molte mani, proposta direttamente da chi sta vivendo le storie che racconta (i ‘co-autori sono 50 …). Per questo motivo i diversi contributi sono stati scritti con la richiesta da parte di editore e Tavolo Res di rispondere a questa domanda: “a quali condizioni – professionalità, ascolto dell’altromercato, tecnologie appropriate ma anche adeguate, reti ben strutturate – si può fare impresa in economia solidale?”.

Non ci basta riconoscere l’importanza delle reti di relazioni per garantire la sopravvivenza dei progetti ecosol, vorremmo capire come organizzare i flussi (economici, informativi, culturali, ecc.) di queste reti e come mantenere le filiere (e le relazioni …) che le sostengono. Dovremmo imparare quali sono i meccanismi che funzionano ed i comportamenti organizzativi che facilitano e favoriscono la risposta più ‘sostenibile’ ed efficace, quella collaborativa.


Questi comportamenti possono diventare le nostre abitudini di ‘altraimprenditoria’, ne abbiamo bisogno per affrontare insieme la grande traversata che ci sta innanzi in questo passaggio d’epoca appena iniziato, segnato da una crisi sistemica. A questo proposito si può fare un’altra osservazione, che proviene dall’analisi di taluni comportamenti emersi nella ricerca “Dentro il capitale delle relazioni” e nelle esperienze raccontate; anche tra i soggetti ecosol del nord e del sud ci sono alcune differenze: i Gas (e le fasce di reddito dei gasisti rilevate in Lombardia …) sono più diffusi al Nord, i produttori proattivi, in particolare quelli ‘contadini’, che si fanno carico di percorsi complessivi nel loro rapporto con i Gas del Nord sono più presenti al Sud (si veda nel cap.9 il progetto ‘Sbarchi in Piazza’ e ‘Sbarchi in classe’ ad esso collegato).

Anche in questo caso si potrebbe far riferimento a ‘favole’ per altro più vicine, come quelle che vedono protagoniste le due maschere più note delle nostre commedie del ‘700: da un lato l’Arlecchino dei palazzi veneziani, con la pancia piena, poco propenso a soluzioni creative e collaborative, dall’altro il Pulcinella dei bassi napoletani, sempre con la pancia vuota, ‘costretto’ ad inventarsi soluzioni sempre diverse per far fronte al problema quotidiano del cibo e a una crisi ‘esistenziale’ persistente nel tempo. Contiamo sul fatto che anche le iniziative e le proposte pro-attive che vengono dal nostro sud contribuiscano a far prevalere nel movimento ecosol e in particolare tra i Gas che costituiscono la sua ‘base di massa’, la consapevolezza del ruolo ‘politico’ che può svolgere nei processi di trasformazione economica, sociale, ecologica, culturale e ‘simbolica’ necessari per cercare di far fronte alle conseguenze nefaste della crisi che attanaglia non solo il nostro paese. Tale ruolo ‘politico’ è stato riproposto nelle conclusioni dell’Incontro Nazionale Gas e Des 2013, di cui pure si riportano nel libro alcuni spunti.

di Davide Biolghini e Andrea Saroldi
fonte: Comune.info

lunedì 30 settembre 2013

COME SI PRODUCE L'OLIO BIOLOGICO

L’estrazione morbida a freddo



RACCOLTA

Certamente di importanza notevole, al fine di ottenere un ottimo olio, è il momento della raccolta. Le olive vanno raccolte al momento giusto della maturazione, ne prima ne soprattutto dopo. Nelle nostre contrade, noi procediamo alla raccolta, totalmente manuale, tra i mesi di novembre e dicembre, non oltre. Raccogliere in periodi successivi, vorrebbe dire raccogliere un’oliva eccessivamente matura, ed ossidata, con risultati pessimi, cioè un olio ad acidità e perossidi altissimi, certamente non il massimo della qualità! Subito dopo la raccolta vengono portate nel nostro frantoio, ed immediatamente avviate alla macinatura e comunque non oltre le 24 ore successive.





PULITURA

Il primo passo è la pulitura delle olive, da foglie e da residui di terriccio.



MOLITURA

Successivamente alla pulitura, si passa alla molitura delle olive, attraverso macine di pietra granito delle alpi che ruotano in senso orario per circa 20 min. ottenendo così una pasta.




GRAMOLATURA

La pasta così ottenuta viene successivamente gramolata per qualche minuto, questo per poterla lavorare meglio. 

IMPILATURA

Successivamente la pasta viene distribuita uniformemente su dei dischi di nilon (i fiscoli), impilati poi l’uno sull’altro a mo di pila su dei carrelli.

PRESSATURA

Questi vengono poi collocati sotto presse idrauliche. La presse lentamente e morbidamente salegono, premendo fino ad una pressione di 300 atm. Da questa lenta pressatura si ottiene la fuoriuscita sia di olio che di acqua (acqua di vegetazione).

SEPARAZIONE

Spetterà poi al separatore, procedere alla fase finale, cioè la separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione attraverso la forza centrifuga.

E’ questo il vero ed unico sistema di estrazione a freddo che noi pratichiamo da sempre. 

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Il nostro olio extra vergine di oliva proviene esclusivamente da uliveti pugliesi, soprattutto dalla varietà “oliarola” che è anche la più resistente agli attacchi parassitari ed è quindi quella che si presta maggiormente a chi, come noi, non intende utilizzare per la difesa sostanze chimiche.


Le olive appena raccolte, vengono macinate entro 12 ore per garantire un prodotto con acidità ed altri parametri chimici molto al di sotto dei limiti di legge.
L'estrazione avviene semplicemente per pressione a freddo, non si fa assolutamente uso di sostanze di qualsiasi natura per facilitare l’estrazione ed ottenere maggiori rese.
Però non basta produrre un buon olio ma bisogna anche saperlo conservare. 
Il nostro olio non è filtrato ma è semplicemente decantato naturalmente e conservato in antiche posture di pietra interrate, rivestite d’acciaio, che consentono un ottimo isolamento termico.

FG003-REG.CE 2815/98 
Questo codice, attribuitoci dalla regione Puglia, garantisce la provenienza esclusivamente italiana del nostro olio, attesta quindi che l'olio viene prodotto da olive raccolte nelle nostre contrade, e frante nel nostro frantoio a freddo con metodo tradizionale.



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OLIO EXTRAVERGINE BIO
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spremuto a freddo, produzione 2012-13, acidità 0,21%
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spremuto a freddo, produzione 2012-13, I° Novello
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bottiglia lt. 1
spremuto a freddo, produzione 2012-13
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